Loop

Una ruota gigantesca solcava obliquamente il deserto al limitare del porto e qualcosa a mezzogiorno ci penzolava dentro, almeno così pareva dalla mini trincea scavata là dove quei due avevano cavato un riparo di fortuna nella sabbia col piscio, ti dico che è uno scheletro, dice ragazzo2, macché, sarebbe assalito da frotte di gabbiani a strappare gli organi da far pendere dal soffitto di qualche fabbrica abbandonata con il cartellino del prezzo, replica ragazzo1, zitto, gli fa ragazzo2, non c’è solo lo scheletro, cioè, se è uno scheletro, e spostati più in là che non vedo, non c’è spazio, lo spazio c’è ma ragazzo2 è un biondino che taccheggia nelle bancarelle sul lungo mare e non solo souvenir e non gli piace essere contraddetto, perciò se lo spazio c’è o non c’è poco importa se decide che non c’è, a scuola ad esempio, cioè quando la scuola c’era, lo avevano fascicolato come DSA, ma secondo gli insegnanti era molto più pericoloso, sfasciava quadrati di soffitto lanciando sedie dal lato opposto dell’aula, e la sua giornata formativa si farciva di gesta iraconde talmente articolate che per scrivere la nota disciplinare finale nel registro di classe non sarebbe bastato Proust, oppure, altro esempio, ragazzo1, tutte le volte che si filava una, metti una micetta discreta, eccolo subito a ronzargli attorno, a guastargli la scena con quel suo fare da capobullo crociazza d’oro al collo e capelli effetto stegosauro bizzoso che ritoccava quasi ogni giorno dal kababbaro tuttofare sottocasa, non è gel insisteva lui, quando andavano a fare a gara di sputi con la gola riarsa di ganja dalla terrazza del Metropolis, il centro commerciale in costruzione, è una crema disciplinante, ragazzo1 ridacchiava, un po’ perché era fatto, un po’ come per dire sei proprio una checca, così l’altro gli tirava un pugno nella trachea proprio quando stava dilatando i polmoni a riempire tutti gli alveoli, e ragazzo1 si piegava senza più aria, gli sembrava di soffocare, provaci ancora, gli fa ragazzo2 con gli occhietti frammentati in pozzanghere rosate sul ciglio della cornea, e, a ribadire il concetto, gli tirava un calcio nello stomaco mentre l’altro si contorceva a terra tra volantini accartocciati di Glovo impregnandosi di virus, ma a volte al Metropolis, se gli pigliava bene, estirpavano gli estintori dalle pareti e facevano un macello da fine del mondo e postavano video su Tik Tok per le micie da castigare, be’ non si odiavano, questo è assodato, più o meno giocavano quasi tutte le mattine con il Super Tele rosso di ragazzo2 sul tetto dell’edificio abbandonato, perché ragazzo2 rubava e/o la sua famiglia stava messa meglio, perché era tipo in affidamento statale, che lavoro fanno i tuoi, mio padre è pescatore, mica mozzo cioè, mica lava le navi capito, e mia madre sai, ma a te che cazzo te ne frega, e gli sbatteva il pallone sul petto, gioca, vediamo che sai fare, ragazzo1 giocava molto meglio a calcio di ragazzo2, ma cercava di trattenersi, veniva spesso scambiato per suo fratello, perché stavano sempre insieme, ma in realtà si erano conosciuti al chioschino dei gelati al pistacchio, vendeva solo gelati al pistacchio, quel chioschino, e se ti accostavi a comprarne uno, dietro vedevi la spiaggia tappezzata di collant incrostati di sborra perché le squillo, secondo tradizione, li sacrificavano al mare prima di sparpagliarsi come bacarozzi nei buchi dell’alba, e vedevi anche una costellazione di Moretti 66 tarocche che affioravano sulla bassa marea come tuberi piantati dalla notte, patate di mare con cui talvolta ci si bersagliava come neve, perché del mare rimaneva questo, e attaccata al chioschino c’era una specie di bisca per turisti sballati di nitroxidina succhiata dai palloncini con un gioco arcade di Street Fighter, proprio fiammante, ed è in quel momento che ragazzo2 si fruga nel costume arancione fluo, ma nella taschina non trova niente, porca puttana il gettone, e tira un pugno in mezzo alle manopole, forte, agita la mano probabilmente rotta nell’aria e tira un calcio alla Ryu a una seggiola, e a una seconda e a una terza, quindi si accorge di ragazzo1 e ragazzo1 prefigura già il dolore fisico su di sé, ma non scappa, ragazzo2 è coperto di salsedine, e si capisce che ha mangiato un cono al pistacchio, perché un rivolo verdognolo precipita a zig zag tra le goccioline di sudore verso il capezzolo destro, ragazzo2 guarda ragazzo1 e non sa cosa fare, il piede con cui ha tirato il calcio comincia a sanguinare, ragazzo2 dice porca puttana, rimette in piedi una seggiola e si esamina la ferita, quindi ci sputa sopra e usa un fazzolettino del bar per fermare l’emorragia, è solo un taglietto, dice a ragazzo1, e sorride, ragazzo1 potrebbe essere catalogato come un nerd senza esserlo del tutto, odia i colori, tutti a parte il nero, e infatti il suo costume da bagno è nero, e pace se attira i raggi solari, ha capelli castani perennemente arruffati e degli occhialini tondi dalla montatura tartarugata, avrebbe potuto leccare il culo a ragazzo2, certamente avrebbe giovato alla sua popolarità non eccelsa, non faceva mai gruppo, non era simpatico, non gliene fregava un cazzo di essere simpatico, ma nemmeno creava problemi, almeno non direttamente, eppure questa scarsa fama, soprattutto tra le donne, non gli giovava punto, vista poi com’era pettegola la bibliotecaria di turno, una pingue segretaria di Bugs Bunny dell’ultimo anno, nonché fidanzata con un vecchio e innamoratissima di ragazzo1, tanto da ribattezzare il suo peluche preferito con il suo nome, un lupo rosa con cui era stata in incubatrice perché boh, matta da legare frignona invidiosa fatti una liposuzione e sparati in bocca, per una copia sgualcita de Il vecchio e il mare tutto ‘sto bordello, come mai proprio questo romanzo per adolescenti, ti facevo più uno da, senti piccola, si fa per dire, tu a stento avrai spulciato la versione redux dell’autobiografia di Sfera Ebbasta, mi andava di rileggere quel libro, problemi, a lei piaceva quando ragazzo1 faceva il rude, infatti si era toccata le suste di quegli occhialacci triangolari, rigorosamente fucsia, nel suo cervellino i capelli avevano ondeggiato quanto bastava a inzaccherare di ferormoni l’aria, e ti è piaciuto, il libro, l’odore del suo shampoo alla lavanda era insopportabilmente dozzinale, e poi, ma Eminghuei è per cuori di panna, esclama sprizzando stelline dalle pupille, mia cara ma perché non muori, lei, abituata ai tuoi attimi di autismo intellettuale, ti chiede di nuovo se ti è piaciuto il libro, no ma più di te di sicuro, sai, facevo fatica a trovarla in tutto quel lardo, la tua vagina, intendo, questa volta parli a voce alta, così ti sentono anche gli evidenziatori stappati degli studenti amebici che pseudo lavorano al progetto di Scienze umane, ebbene sì, questa disciplina esiste, anche se, a essere onesti, era stato a ragazzo1 che non gli si era rizzato a modo, per via del tepore assopente della stanza di lei, rinvigorito dalla polvere giallastra smossa dai ventilatori e, be’, per via di quella valanga di peluche a scrutare il fattaccio celando le palette già pronte per segnare i voti, 5 3 4 e sicuramente un bel 2 dal gaio lupo dell’incubatrice, perciò lei, non violata nella sua cameretta come avrebbe desiderato e per giunta turlupinata in pubblico, aveva messo in giro la voce che ragazzo1 ce l’avesse piccolo, il pene, più o meno così, ecco, la punta di un evidenziatore, ed era stato tremendo, peggio di un tampone positivo post lockdown, per un ragazzo che a diciassette anni ha solo voglia di infilarlo ovunque e ha già la nomea dello stronzo, voi capite, amen, tu devi essere, stava per chiamare ragazzo2 con il suo nome, perché andavano alla stessa scuola, e lui era tipo il più strafigo, ma in realtà non gli importava nulla di chi lui fosse a scuola o per la scuola, questo l’ho fatto per mia sorella, lo precede ragazzo2, e gli mostra il tatuaggio di un passeggino sul polpaccio della gamba ferita, cioè non per lei insomma hai capito, e scuote la testa con quella risata che sembra il verso di un pupazzo masochista strozzato nel buio, e si rimette a posto il ciuffo, gesto che fa più o meno ogni tre secondi con la mano ancora sporca di sangue, ossessionato di essere il più bello, e il più bello sta nella posizione del ciuffo, ragazzo1 va verso Street Fighter e inserisce il gettone, tu chi scegli, ragazzo2 dice posso sei sicuro, ce l’avevo il gettone, ti giuro, scelgo Blanka comunque, deve essermi caduto in acqua o tra una di queste, risata, cose, sono assi di legno, sì è possibile che ti sia scivolata lì sotto, dovremmo ribaltare il chioschino tutto intero per esserne sicuri, ma poi sarebbe l’alba dei preservativi viventi, cioè, fa ragazzo2, be’ alla luce del sole i preservativi potrebbero riprendere vita grazie ai residui di DNA e tirarsi su trasformati in bacarozzi giganti e a poco a poco uccidere l’umanità, vendicandosi così della riprovevole funzione loro assegnata dagli umani stessi, o dalla natura, se cambia qualcosa, ROUND ONE, ragazzo2 ride e tra un po’ si rispacca la mano, perché per la foga della risata stava dando un’altra botta al videogioco, ma si ferma in tempo, guarda che è iniziato e ti sto già facendo il culo mi pare, ragazzo1 è molto più bravo, ed è proprrio Ryu che sceglie, Hadouken tutta la vita, ma gli lascia vincere un round, ogni partita è fatta da tre round, non ha voglia di dimostrargli una superiorità di cui è già ampiamente consapevole, ragazzo2 ride, si sta divertendo, la partita però è finita, ha vinto ragazzo1 perché il tempo è scaduto e gli dice che era l’ultimo gettone, ragazzo2 gli mostra il pugno della rivincita, si vede che le ossa all’interno della mano non sono tutte al posto giusto, quando vuoi, e ragazzo1 ricambia il gesto, non l’aveva mai fatto prima, con nessuno, e interiormente gode, come se quel contatto lo portasse istantaneamente al riparo di lenzuola di seta immacolate, il primo bacio era stato decisamente più disgustoso, senti io abito vicino all’edificio abbandonato, una villetta a schiera, quelle tipo bianche che ci hanno costruito attorno, sì ho presente, fa ragazzo1, che abitava proprio in una di quelle villette, quindi se ti va di fare due tiri ogni tanto la mattina per scaricarsi un po’, e ride, il pupazzo masochista strozzato nel buio ti guarda dall’alto, seduto in cima a un grattacielo senza finestre, tutto bianco, le gambette penzoloni, il grattacielo cresce in altezza, okay, riesci a dire, ragazzo2 ha già scritto il suo numero sul tuo telefono, così avete cominciato a giocare a calcio sul tetto dell’edificio abbandonato e non solo, per fare le porte usavate le scarpe, giocare scalzi faceva più FIFA Street, nella mini trincea ragazzo2 si riavvia il ciuffo, non può essere uno scheletro, passami il binocolo, oddio sai che forse, ride, cazzo è uno scheletro, stai giù però, gli fa ragazzo1, questa è l’interzona desertica verso la città, se ci beccano ci pastrugnano di brutto, e che vuol dire, ragazzo2 era dislessico, dimenticava le cose e si vergognava di non saperle, fingeva di saperle e poi diceva ecco, come se si trattasse solo di una dimenticanza passeggera, con ragazzo1 si toccava la punta del ciuffo e poi la buttava indietro, avrebbe spaccato facce per molto meno se non gli andavi a genio, anche solo se gli sembravi uno che voleva fregarlo o che lo squadrava da lontano, ma con ragazzo1 non accadeva, non l’aveva mai picchiato, intendo mai seriamente da andare all’ospedale, perché stando con lui, frequentandolo, aveva trovato un suo microcosmo di compensazioni non troppo distruttive, e accettava perfino l’autorità di ragazzo1 in taluni àmbiti, era come il matrimonio tra due specie di volatili che diversissime si scontrano in volo e insieme, ascoltando il rumore della terra con le ali che si spezzano vicine, scoprono di non aver mai volato per davvero, e ragazzo2 rispettava quel pennuto dagli occhialini tartarugati, snob e forse anche un po’ ricchione, perché si era conquistata la sua stima sul campo e senza pretendere nulla in cambio, con dimostrazioni non per forza eclatanti gli aveva fatto subodorare la stoffa del duro, ragazzo2 d’altra parte l’aveva attirato a sé per via del suo aspetto, era un gran bel ragazzo, fisicato carismatico biondo e tutto il resto, e non che ragazzo1 si facesse molte domande sulla sessualità, e nemmeno era un argomento che lo interessasse chissaché a livello teorico, era semplicemente un amante del lusso, gli piaceva circondarsi del più bello, di cose non comuni, e il modus essendi da I don’t give a fuck di ragazzo2 era proprio ciò che lo attirava, perché era puro, era bestiale, era tatuato sulla parete interna delle vene e fuorisciva nei pigmenti di quel passeggino vuoto inciso sul polpaccio, la sorella, gli spiegò una volta, aveva avuto un aborto spontaneo, risata, stress droga che ne so, ‘sti cazzo di pesci rossi e gialli, se scopro chi l’ha messa incinta giuro, risata, afferra una gomma Staedtler e la scaglia nell’apeiron, avrebbe voluto piangere e quella volta lo fece, erano in un’aula vuota a rollare joint tra la quinta e la sesta ora e ragazzo2 comincia a crollargli davanti, il grattacielo infinitamente verticale del pupazzo masochista crolla piano dopo piano, come un grattacielo Tetris che collassa su se stesso per piani orizzontali che spariscono sbuffando rosso, e la risata è un’altra risata, è la risata di un pupazzo che si fa strozzare e che non prova piacere, ma il dolore di avere tutte le ossa fuori posto, e non solo quelle della mano, ragazzo1 aspettò che avesse finito, poi sistemarono i joint nella foderina esterna dell’astuccio Eastpak e andarono verso l’ex parchetto giochi, il rettangolo bordeaux con i cavallucci divelti adiacente la chiesa dove li aspettavano le altre scimmie per il battesimo post lezione pomeridiana, ma uno scheletro non l’avevano mai visto, sempre che di scheletro si trattasse, ragazzo2 fa andiamo a vedere, ma se ti ho appena detto che, ci avviciniamo piano strisciando, saranno pochi metri, ragazzo2 non sapeva contare, non bene almeno, gli scheletri non camminano replica ragazzo1, non verrà nessuno scheletro verso di noi per dirci come stanno le cose davanti a uno shot di tè alla menta, risata, ecchecazzo zio, fidati, a volte il miglior modo di nascondersi è non nascondersi affatto, vado avanti io e tu mi tieni per le caviglie, se ci sparano i cecchini si muore, si muore insieme, ci stai, che domanda pensò ragazzo1 afferrandogli le caviglie e ragazzo2, più allenato, lo trascinava per quella striscia di deserto, e la ruota era sempre più vicina e sempre più piccola, come se fosse il bullone arrugginito di una nave incollato sul fondo della bottiglietta trasparente di un souvenir, si sente un colpo, la sabbia schizza sui loro corpi abbrustoliti e anche negli occhi, a volte sparano proiettili narcolettici e poi ci pensano quelli della centrale a farti il brain wash e quant’altro, ma più spesso i cecchini si sollazzano a uccidere sul serio, vedere il sangue è sempre uno spettacolo, mi raccomando, non mi lasciare urla ragazzo2, per nessuna ragione adesso non mi lasciare okay, ragazzo1 gli dice okay ma forse sono già morti, adesso si vede solo un punto rosa all’orizzonte, adesso si vede solo un lupo rosa di peluche nel grembo di uno scheletro impiccato oscillante in una ruota gigantesca che obliquamente solca il deserto al limitare del porto.

L’Inesistente
Credits: Max Ernst, Vogelhochzeit, 1925, oil on canvas, Staatsgalerie Stuttgart