Game Over

Le scarpe di vernice nera ti segano i malleoli, trattieni una smorfia di dolore nell’ascensorino cigolante assiepato di business men in FFP2, ma un secondo dopo ti accorgi che non possono vedere la tua faccia, nessuno la può vedere, cerchi di ricordare il numero civico dell’appuntamento, ma sai già che farai fatica a trovarlo, allenta il nodo della cravatta, così ti strozzi, ecco, meglio, respira, e asciugati il sudore, come, non lo so, hai solo quel fazzoletto usato, sì, le lenti rotonde sono tutte appannate, sembri il personaggio svitato di una serie tv che torna dal futuro per cambiare un dettaglio e distruggere il mondo, usa il fazzoletto se il moccio è secco, fregatene di quella girl in carriera che ti guada da capo a piedi con la sua scialuppa ormonale, certamente invidia qualcosa di te, pensala così, forse non i capelli castani un po’ arruffati, benché la moda attuale non lo escluda, se abbinati a barbetta intellettualoide non troppo trasandata, ma spingiti oltre, ti voglio bello carico al colloquio, forza, osa di più con il pensiero, pensa che quella donna ti vuole come non mai, ti vuole come sotto l’effetto di un filtro d’amore, pensa che vorrebbe essere il moccio secco che deterge il sudore dal tuo occhialino nerd tartarugato, ecco, adesso che ti senti meglio, decisamente più maschio, adesso che hai sedotto un’elegante donna di successo con il tuo aspetto opinabile, puoi anche uscire dal sarcofago saliscendi e digitare l’indirizzo su Google Maps, non prende, la tua ex l’aveva detto di comprarle mezzo numero in più, le scarpe, tu però cammina, stoicamente cammina verso il colloquio, i genitori ti hanno chiuso i rubinetti, la droga costa e pure l’affitto, che ore sono, dai, muovi quelle cazzo di gambe, sembri uno scheletro zoppo che arranca senza meta nel cimitero da cui è appena riemerso, scrollati di dosso gli ultimi brandelli di carne marcia e segui fedelmente la freccina blu del GPS, lei non può fallire, lei ti conduce alla mèta senza ridere e senza piangere, ed è perfino in tinta con la tua cravatta Lanvin con fantasia a grandine madreperlacea, nodo un po’ storto, ma il tuo coinquilino ha avuto buon gusto nel regalartela per il tuo venticinquesimo compleanno, chissà cosa si aspetta in cambio, hai provato a fare un calcolo mentale, nei suoi occhi già brillava il sapore del riscatto mentre la scartavi e dicevi wow ma che bella, non possiamo più permetterci di accettare doni, perfino tu, quella rivincita alla Nintendo 64, gliel’hai concessa sapendo che con una frase melliflua, del tipo i piatti poi non ti preoccupare, lui avrebbe spruzzato uno scatarro di Svelto al lime sulle sue candide mani di studentello della Bocconi senza battere ciglio, vai tra faccio io, e aveva pure perso, una chiavica a Tekken, si ostinava a scegliere quel Kazuya che già il nome, va be’, e poi non lo sapeva proprio usare, ma era troppo borioso per ammettere una qualsiasi sua deficienza rispetto a te, quindi tacitamente godevi a ogni pugno che Nina, la tua assassina bionda personale, faceva esplodere sulla faccia smascherata del suo avversario, un mini pulviscolo di sangue dietro l’altro sullo schermo piatto della Samsung, troppo bello, non desiderare la donna d’altri, bastardo, nono comandamento, ma tu te ne sei fregato e me l’hai portata via, vorresti gridargli in faccia, perché in casa si abbassa la mascherina, quella faccetta da poppante dietro cui a tradimento si cela la iena del deserto pronta a strapparti il toast di mano con un bavoso e contagiosissimo morso, tanto che gliene importa se non pranzi, sei grasso, per lui sei grasso, sei un perdente, per te sono un perdente ma non è vero, vorresti dirgli afferrandolo per il bavero, quanti libri avrai letto in vita tua, bestiolina di merda, e non dico quelli che compri per leccare lo sfintere professorale, dico romanzi, letteratura, pensi che il tuo mondo, il tuo modo di vedere il mondo, egoista e privo di sentimenti sia quello okay, ma non è okay per un cazzo, non è okay rubare i toast della gente perché pensi siano grasse e non è okay fotterti la mia donna, puoi anche non essere mio amico, non ambisco a tale onore, ma tu scambi cravatte per fidanzate, tanto sai quante ce ne sono, tanto la morale per te è solo una perdita di tempo, il tempo, già, e chi me lo ridà tutto il tempo che ho dedicato a lei, e non posso nemmeno chiederti un riscatto, perché tu le hai già strappato e succhiato tutte le dita, da lurida iena del deserto quale sei, e le hai infilate tutte quante in una busta gialla con pallini cicciotti da spedire sull’isola del finto senso di colpa, e ovviamente di questo elefante nella stanza non se ne può parlare, altrimenti mica easy fare travasi di appartamenti senza giusta causa durante una pandemia, ma un paio di settimane di Tekken e tu, mio caro peccatore, mi presenterai una delle tue tipe giuste, non una delle ultime della lista ma, diciamo, una tra le prime cinque, e la sceglierò io, sceglierò con l’inganno quella che ti piace di più e sentirò il tuo cuoricino feliforme fare crack, diventerai il mio schiavo senza neanche accorgertene, hai fatto un grave errore a non dare il giusto peso all’interdipendenza da videogame, i piatti sarai tu a lavarli, tutte le volte, sarà bene che ti procuri una scorta di Svelto al lime per l’eternità, magari mi lustrerai perfino le scarpe trinciamalleoli con quel tuo perfetto affarino comperato in promo specialissima su Amazon, quello al quale se mi avvicino mi allontani ringhiando perché le ricariche costano un botto, sarai tu stesso a chiedermi di farlo, e lo farai, mi darai tutto quello che vorrò senza che io te lo chieda, taglia il filo delle tue manie di onnipotenza, occhialino tartarugato, non sai nemmeno se sarai ancora in grado di camminare a fine giornata, lo senti il cuoio che grattugia la pelle delle caviglie e lentamente si fa strada verso l’osso, ecco, cerca di stare dritto, per favore, e spera che al colloquio tu non debba fare troppi movimenti, con tutti questi passaggi e sottopassaggi e le goccioline di Listerine a contaminare il già scarso ossigeno che passa dalla mascherina, stai per crollare, stai per prostrarti in ginocchio di fronte alla freccina blu del GPS, rimandatemi sottoterra, vi supplico, qui si soffoca, mi farò spedire il sussidio di disoccupazione al conto in banca dell’oltretomba, ti viene da dire, ma nessuno avrà pietà di te, gli altri scheletri maledetti scassineranno la tua casella postale e rimarrai senza un soldo anche laggiù, e solo, senza fidanzata e senza nessuno con cui giocare, nemmeno Nina l’assassina, buona come un toast caldo e fragrante che scatta verso la luce del mattino con un plin, buongiorno lei dev’essere l’architetto, come prego, sì lei, insomma il colloquio, si sieda pure al tavolino del bar, possiamo toglierci le mascherine, come vede abbiamo una barriera di plexiglass eptagonale covidproof, è importante vedersi in faccia, lei non crede, credo, certo, che tu sia molto carina, ma questo non glielo puoi dire, e ti limiti a sorridere vaporizzando collutorio sullo schermo che ti divide dalla sublime cerbiatta cacciatrice di teste, bene, sarò breve, il suo curriculum è notevole, per la sua età ha già maturato esperienza internazionale di altissimo livello nella game architecture, ha ottime referenze dai professori di Stanford, i quali, pur notando una sua certa, ecco, leggo stravagante inflessibilità morale, scuote un attimo la testa come se non afferrasse il concetto o ne fosse in qualche modo piccata, be’ ha svolto un brillante tirocinio post laurea e, si sente bene, non riesci a trattenere una smorfia di dolore, senti i talloni sguazzare in due pozze di sangue all’interno delle scarpe, tutto bene, solo un po’ di torcicollo, sa, aria condizionata e sbalzi di temperatura, ho le ossa molto sensibili, e sorridi, come se fosse una battuta, lei risponde al sorriso, ma più per istinto aziendale di compiacimento nei confronti di un forse superiore che in futuro potrebbe ricordarsi di quel momento come uno sgarbo, inoltre, continua spostando dei fogli, il suo progetto è piaciuto al nostro CEO, che è pronto a farle un’offerta comprensiva di alloggio, se lei accetta di cominciare lunedì, mi perdoni ha detto alloggio, sì, una dipendente si sta trasferendo e l’azienda mette a disposizione degli appartamenti coprendo tutte le spese, è tutto scritto qui, ti passa da sotto una fessura una cartellina gialla, magari dentro ci sono le dita mozzate della tua ex, sfogli pure con calma il contratto e mi chiami per qualsiasi dubbio al riguardo, trova il mio numero in alto a sinistra, figurati, già tanto che sappia scrivere a mano, pensi, senta avrei una richiesta se non le spiace, prego mi dica pure, vorrei vedere l’alloggio che eventualmente andrei ad occupare, se accetto di cominciare lunedì, e le strizzi l’occhio, ormai conscio che la ragazza non ha proprio la verve di un’autentica cerbiatta, ecco, vede, in realtà l’appartamento è ancora occupato al momento, credo che la nostra ex dipendente stia preparando il trasloco, per me non è un problema, non vedi l’ora di liberarti di baby face, se non le dispiace sarei curioso di dare una rapida occhiata, d’accordo, le creo un pass per salire, sesto piano, interno 631, ricordi di attaccare questo smile adesivo sul petto, purtroppo i pass per i visitatori hanno una durata di soli dieci minuti, le auguro una buona giornata e spero di avere presto sue notizie, oggi è domenica, e ti fa l’occhiolino, pessimo tentativo di stabilire un ponte empatico con te, ti fa solo passare per un tonto che non ricorda che giorno è, anche se in effetti te l’eri proprio scordato, torna pure nel bosco a ciucciare qualche parva bacca avvizzita, è quello che ti meriti, e, a esagerare, un ape offerto da un tipo che ti farà a pezzi, cerbiattina cyborg da due soldi, confabuli mentalmente aspettando che la serratura della 631 bippi qualcosa di verde, e tu che ci fai qui, i ricordi cominciano a mulinare giù dal buio della mente come ghigni catarifrangenti, la tua ex fidanzata ti sbircia sonnacchiosa da sotto le lenzuola di seta rosa, sai che sotto non ha niente, a lei piace dormire così, le piace sentire la seta sulla pelle, riconosci il tatuaggio del passeggino sulla spalla, perché sei venuto, intanto richiudi la porta dietro di te, trascini la sedia dello scrittoio al centro della stanza, e ti siedi fissando la moquette di spigoli intrecciati, maledetti, proprio così spigolosamente intrecciata dovevano farla, cerchi di rimettere insieme i buchi neri che ti hanno portato fino alla stanza 631, ti senti bene, no, non sto bene, ho le scarpe zeppe di sangue, te l’avevo detto di, zitta, alzi la testa, devi stare zitta hai capito o no, come facevi a sapere che ero qui, ti è piaciuto, cosa, ti è piaciuto fartelo mettere dentro da lui, sullo scrittoio c’è una siringa, si sarà appena sparata una dose, beata lei, lui chi, come chi baby face, quella checca bastarda del mio coinquilino, quello che ti sei scopata, io non sono mai uscita con il tuo coinquilino, non riesci a trattenere una smorfia di dolore, Cristo santo togliti quelle scarpe, stai tremando, l’ho creato io questo gioco, quale gioco, di che parli, era questo il progetto di Stanford, ricreare situazioni emotive estreme, lei cammina verso di te avvolta nelle lenzuola di seta rosa, era una specie di realtà virtuale per capire meglio la realtà vera, e l’hai provato su di te questo gioco, tu schiudi le labbra, lei scuote la testa e si accascia come un mastodontico coriandolo specchiato ai tuoi piedi, volevo capire quanto potesse essere doloroso perderti, lei sorride, è la Nina di tutti i round vinti a Tekken, un videogame in irreversibile cortocircuito da eroina, non piangere, ti dice slacciandoti le scarpe con delicatezza, non riesci a trattenere una smorfia di dolore, ti sfila le calze, piano, si sono appiccicate all’osso, doveva essere un esperimento ma poi è diventata una roba sempre più seria, lei prende i tuoi piedi nelle sue mani, li accarezza, li pulisce con il lembo del lenzuolo di seta che l’avvolge, il progetto ha coinvolto anche il dipartimento di neuroscienze, avvolge con sé i tuoi piedi nel lenzuolo, quindi non si trattava più di progettare un videogame, ma di usarlo per sperimentare reazioni neurali, la punta delle dita dei tuoi piedi sfiorano i suoi seni, e adesso che ti ho perso davvero non so più cosa voglio, lei ti guarda, dal basso verso l’alto, le sue mani sono sporche del tuo sangue, cioè piccola io ti amo ma, sei sparito per intere settimane, improvvisamente, non sapevo cosa fare, non sapevo neanche se fossi ancora vivo, tutti i tuoi parenti, tutti i tuoi amici mi hanno bloccata ovunque, a casa sul citofono non c’era più il tuo nome, la polizia mi ha riso in faccia, l’università diceva che non risultava essersi mai immatricolata una persona con i tuoi dati anagrafici, giri la testa e guardi la luce che filtra dalla finestra a sinistra, tende bianche pastose, l’aria è gravida di polvere rossastra, come se Nina e Kazuya si stessero picchiando invisibili tra di voi nel duello finale, tiri su col naso, la luce della domenica mattina è sempre la più crudele, hai sempre odiato la domenica, anche i toast sono pessimi, sanno di pre lunedì delle ceneri, ascolta piccola io, sai qual è la differenza, torni a guardarla, non riesci a trattenere una smorfia di dolore, lei non ti appartiene più, non è più la tua donna, Kazuya, tu la desideri ma lei è la donna di tutti gli altri, la differenza è che io ho capito cosa voglio, dice Nina, scintillante acquosissima ai tuoi piedi, voglio che tu adesso mi dica cosa devo fare per non rivederti mai più.

L’Inesistente
Credits: Giorgio Bolognese, Girls, Tokyo 2017