La non arancia

Qualcosa cade, rotola verso le sue scarpe di vernice nera, si ferma con un plop sul piede destro, è un’arancia, la raccoglie, si guarda attorno per un momento, la strada è ingombra, stanno albeggiando il mercato, tutto igienizzato e imballato secondo le regole in sacchetti riciclabili di plastica ignifuga, il banco dei gamberetti è il più vicino, ognuno sigillato in una sua personalissima microscopica alcova, come se quei gamberetti rischiassero di trasformarsi, per sfregamento di carapace, in farfalle sputafuoco rosa giganti e incendiare tutto, cioè tutti gli esseri umani sensibili al fuoco, come se l’umanità fosse un bene trascurabile senza più un volto, come un’arancia che non sa di nulla perché le hanno estirpato l’odore dal cuore, ma lui quell’odore vuole cercarlo, vuole capire dov’è andato a finire, se c’è ancora, perciò sfila la sua daga dal taschino interno del completo Gucci, e disegna un taglio sottile sulla superficie del frutto, una specie di smile, sorride all’arancia prima di darle un’altra chance, ma ancora nessun odore, quell’arancia non sa di arancia, sulla lama della daga una goccia di succo copre l’ombra di una bambina incappucciata con una matita rossa in mano, affilatissima, lui asciuga la lama della daga con il fazzoletto di Mickey Mouse usando l’arancia come supporto, vede il riflesso dei suoi occhi turchesi sulla lama, si sono spenti quando era adolescente, quando ha decapitato la prima Barbie di sua sorella, magari, quando l’ha decapitata e appesa in bagno per le caviglie al bordo dello specchietto rotondo che sua sorella usava per farsi le sopracciglia, lei aveva urlato come se la bambola fosse una persona vera anche se il sangue non c’era, e lui aveva sorriso con tristezza, rannicchiato come un gamberetto deplastificato nell’angolo della sua cameretta con il poster de Il Padrino di fronte al letto sfatto e gli occhi turchesi sgretolati nell’ombra prenatalizia, come due renne che perdono la testa e sbudellano tutti i doni sparando a Babbo Natale in fuga all’orizzonte e poi via, al Whisky Bar più vicino, ‘fanculo al globo terraqueo morbosamente in vigilia, e quel sorriso triste, estroflessione del giovane sguardo in fase di spegnimento nel brumoso angolo della cameretta, continua a perseguitarlo anche adesso che non può vederlo, se non ridotto a una striscia di non luce meramente oculare sopra la mascherina di stoffa, anch’essa nera come le scarpe, lievemente abbassata per consentire alle narici la ricerca dell’odore di arancia che non c’è, come non c’era il sangue della Barbie a colare sul tappetino del bagno, ma la preda non è lontana, un’arancia, benché senza odore e senza cuore, in mezzo al mercato del pesce, è quantomeno sospetta, non credi, gli sussurra la bambina incappucciata, lui non le risponde, rimette a posto la daga asciugata da ambo i lati e lancia in aria la non arancia, ma prima che possa riafferrarla al volo, una donna la prende in sua vece, e lei chi è, cosa ci fa nel mio quartiere, e lui già è pronto a sfilare di nuovo la daga dalla giacca, non occorre, fa lei, posandole la mano sulla mano anche se non si potrebbe, non mi riconosci vero, indossa un tailleur comprato in saldo da Zara, si vede che è da un po’ che non va dal parrucchiere, i suoi capelli vaporosi come un Renoir andato a male sanno di bassa marea, forse viene dalla spiaggia, si è rivestita in fretta dietro uno scoglio, la sua mascherina è rossa con fantasia eptagonale verde, lei chi è, cosa vuole da me, si da il caso che questa arancia sia mia, mi è caduta dal cestino della spesa, che sbadata, non finge neanche di sorridere sotto la mascherina, rimette l’arancia nel cestino della spesa, vuoi che ti mostri la strada per il Whisky Bar più vicino, pensi che forse avresti dovuto cominciare molto prima a non fidarti di questo mondo, prima che le due renne perdessero la testa la vigilia di Natale sbudellando tutti i doni, prima di credere troppo intensamente in un’idea e, soprattutto, prima di cominciare ad accumulare armi d’epoca sulle aste di eBay per compensare lo sfrenato impulso di bere, di annichilirti e sfinire la tua giornata da capo quartiere sul letto ubriachissimo che non hai mai rifatto da quel giorno, chissà dov’è rotolata la testa della Barbie, lei non ha ancora tolto la sua mano guantata in lattice dalla tua e te la stringe roteando gli occhi per vedere se c’è qualcuno della pula in giro con le pistole laser, ti termoscannerízzano tutte le informazioni e sei abbastanza fregato se al sistema non tornano delle cose, va bene, andiamo, strappi un lembo della sua fasulla busta della spesa di cartone e con una matita rossa che la bambina incappucciata surrettiziamente ti ha infilato in mano prima di svignarsela in un vicolo, scrivi un indirizzo sul pezzo di cartone, interno 631, ripieghi il bigliettino più volte su se stesso e glielo metti nel taschino anteriore del tailleur bianco sdrucito, con la scusa di rimetterle a posto una rosa appassita che, bleah, certo potrebbe pure buttarla via, ascolta, si avvicina all’orecchio, se provi a imbrogliarmi sei finito, e ti mostra il tatuaggio di un passeggino sul collo, questa arancia la riprendi e la porti fino all’interno 631, è microchippata, ci vediamo lì tra mezz’ora, e niente scherzi, capito bagascetta, mentre si gira pensi di infilzarle la daga tra la quinta e la sesta vertebra, ma non sei abbastanza lucido, hai alzato troppo il gomito di prima mattina, e quella fa sul serio, magari conosce tizio o caio, un’arancia può essere pericolosa, cammina sicura senza collant e tacchi alti, ed è già lontana, svolta a sinistra in un vicolo, la bambina incappucciata alle tue spalle invece è sparita, lei non esiste, è solo la tua immaginazione, non è mai esistita quella perfida bambina incappucciata, non ti ha mai chiamato di notte quando non riuscivi a dormire al lume di candela dalla sua tana con il vivavoce, non ti infilava le matite rosse nell’astuccio Eastpak lei, capo tutto okay, un manovale del porto sta trasportando una cassa stracolma di merluzzi incellophanati, non lo so, chiamami un tuk tuk, immediamente, certo capo, i tuk tuk sono i mezzi più affidabili per chi vuole spostarsi in incognito, loro pregano Buddha e non gliene frega un cazzo, rischi di morire, ma insomma, è un rischio più che sostenibile di questi tempi, abbassi la mascherina e tiri fuori la sigaretta elettronica per farti un’opulenta svapata all’anice stellato, la rimetti in tasca, qualche secondo di attesa, il manovale attende istruzioni all’auricolare, il sole nel cielo già sculaccia l’alba sfilacciandola di giallo splash super fresco nonostante l’imperitura coltre di smog, perché il cielo terso è come il ricordo di un giocattolo decapitato, ti fa ridere di dolore, non ha senso, non esiste più, non credi che questa donna voglia del denaro, né credi di aver fatto fuori qualcuno della sua banda, temi voglia proprio qualcosa del genere, una sensazione, ma è stata tua sorella a spingere il passeggino giù dalla scogliera, faceva la babysitter, distrattissima come la madre, diceva di voler fare la scrittrice, una gran pettegola, tua sorella, l’hanno legata nuda per le caviglie alla BMW del padre dell’infante accidentalmente precipitato con il passeggino dalla scogliera, e l’hanno scartavetrata tutta, per tre volte, su quella stessa scogliera, quando da lì scriveva sul suo diario e ti guardava raccogliere le alghe sferiche con cui i bulli ti avrebbero lapidato prima del suono della campanella, e di lei non era rimasto più niente, almeno così ti hanno detto quando sei andato a supplicare che ti restituissero qualche pezzo, almeno la testa, ti prego, hai detto abbracciando le gambe del suo carnefice, desolato bagascetta, ha replicato lui, ma stanotte puoi rimanere qui da me, ci sono un paio di renne che si divertirebbero un mondo a leccare le tue lacrime di Priamo, io guardo e basta, e ti spegne una sigaretta dietro l’orecchio HAAA, tranquillo non morirai, abbiamo pareggiato i conti, anche se, be’, tua sorella se l’è proprio cercata eh, così tornato a casa non morto ma neanche troppo vivo la mattina successiva, fuori era ancora buio e sei solo riuscito ad aprire il frigo Toshiba che era un continuo BMWBMWBMW da spararsi in testa, con un post-it con su scritto FAZZOLETTO bambino PASSEGGINO Mickey Mouse lavatrice MOLTO IMPORTANTE, molto già maiuscolo sottolineato tre volte, su un altro post-it, più in basso, c’era scritto, no, non ricordi, ricordi che c’era un’arancia cominciata sul tavolo e ti sei versato un bicchiere di latte freddo, il vuoto è meglio osservarlo bevendo qualcosa, le lucine di Natale erano accese come sempre, avevi trasferito lì il televisorino incorniciato con le lucine, non ti importava se era giorno o se era notte, quelle lucine erano la tua atmosfera, la testimonianza che avevi montato qualcosa con le tue mani senza distruggere niente, anche se di nuovo l’avevi montato storto, e per questo avevi mantenuto il foglio A4 attaccato con lo scotch su cui a caratteri cubitali avevi scritto scusate ma non sono un carpentiere, a tua sorella faceva ridere, credi che lei ti amasse più di quanto tu la odiassi, e non hai mai capito fino in fondo il motivo di quell’odio, era naturale come l’ossigeno l’odio per tua sorella fatta a pezzi senza più pezzi, era naturale come un bonsai ha bisogno di essere annaffiato o come un lupo ha bisogno di sbranare in branco la carcassa di un alce che galleggia nel fiume, ehilà signore, è sveglio, signorEEE, ti affacci alla finestrella triangolare, alba milf sculacciata a cinghiate da toro giallo assai arzillo ferisce gli occhi, attraverso la zanzariera smagliata un biondino ciuffolungo con crociazza d’oro al collo che Saba avrebbe descritto con le mani troppo grandi per regalare un fiore, che è successo, è caduto il pallone di sotto giocavamo qui sul tetto, è un Super Tele rosso, aggiunge un secondo ragazzo con capelli castani arruffati, che ti pare più urbano, ci dispiace molto importunarla, ma vede, noi non abbiamo le chiavi del cortile e, avete della vodka, il primo ragazzo, quello più tamarro, esplode in una risata che sembra quella di un pupazzo, l’altro riprende con il suo eloquio studiato, sono le nove di mattina, signore, si sente bene, ce l’avete o no, il biondino ride di nuovo ma la sua risata si vela di tenebra verso la fine e dice che sì, ce l’hanno la vodka ma la bottiglia è mezza vuota, amen, portatemi la vodka e io vi riprenderò il pallone, tuk tuk pronto signore, è già qui, grazie, gli dici, ma il manovale è già filato via con la cassa di merluzzi incellophanati sulla spalla, dove andiamo, gli dici l’indirizzo, il conducente sa chi sei e tu sai chi è lui, sul soffittino dell’abitacolo ci sono delle banconote, quelle sono per Buddha vero, il conducente annuisce, proteggono durante il cammino, e tu ci credi, e tu come fai a non credere in niente, l’arancia è nella tua mano, ti sorride dal suo taglio privo di odore e privo di cuore, lo avvicini comunque al naso, inserisci il pollice nel taglio per allargarlo, non per trovare il microchip, adesso sei tu che vuoi incontrare quella donna, vuoi sapere tutto quello che può dirti su tua sorella e troverai il modo per fartelo dire, guardi in su le banconote destinate a Buddha e affondi il naso nell’arancia, tiri fuori la lingua, trovi il microchip e lo sputi per strada, torni nell’arancia, qualcosa si sente, un remotissimo umidore agrumato, eccoti la tua preghiera, Buddha, adesso vediamo di che cosa sei capace, saluti il conducente con una pacca sulla spalla e sali alla 631 col muso sporco d’arancia, lei è già dentro, seduta su delle lenzuola di seta rosa, ti punta addosso una Remington .44, deve averla trovata in dispensa, dietro le bottiglie degli alcolici, come vedi sono venuto, dici lanciando l’arancia in aria e riprendendola, fermo dove sei, togliti la mascherina, agli ordini signorina, la butti sullo scrittoio e sposti la sedia davanti a lei, ho detto fermo fermo FERMO, sta’ tranquilla, mi siedo davanti a te, così mi puoi sparare meglio nel cervello, non aspetto altro, non abbiamo tempo, dice togliendosi la mascherina, è un’amica di tua sorella, si titillavano notturnamente quando lei veniva a trovarci, quanti spasimi per un paio di dita, sentivi tutto attraverso il muro, odiavi entrambe, lei un po’ meno di tua sorella ma solo perché non era tua sorella, questo, mi mostra una cosa, questo è il diario di tua sorella, embè, porti l’arancia al muso e ce lo infili tutto, lei si vede che si sente molto più scaltra di te, laureata in letteratura in qualche bella università per figlie di papà e poi bloccata dalla zona rossa, scuole chiuse e BOOM, ti ritrovi a fare la puttana per turisti sulla spiaggia e a regalare collant schizzati di sborra all’oceano, altro che fiori, ragazzaccia, come dici, sposto l’arancia affinché possa sentirmi meglio, ho detto che sei una ragazzaccia con le mani troppo grandi per regalare un fiore, sei già ubriaco Cristo, le mostro i denti polposi d’arancia, sei sempre stato uno stronzo, ascolta, vuoi un po’ di latte, ascoltami FERMO o ti faccio fuori, non sai che voglia ho, forza dai, puttana, spara, e balzi su di lei CLIC, la pistola era scarica ma lei non lo sapeva, ti lasci cadere a terra e ti metti a ridere osservando l’orrore sul suo volto, ti odio, Buddha protegge il mio cammino, stronza, tiri fuori la daga e in un secondo lei, la scaltra col passeggino tatuato sul collo, ce l’ha già puntata alla giugulare, l’alcol non ti ha reso meno agile di quando fanciullo giocavi ad arrampicarti negli aranceti dietro casa, eri cicciottello, ma poi tua sorella ti ha iniziato alla bulimia e un bel po’ di chili li hai buttati giù, e il tuo corpo si è trasformato in quello di un trapezista, lei, tua sorella, per prenderti in giro diceva ecco il trapezista degli aranceti, esofago bruciato, ma pazienza, vuoi un po’ di latte, HAHA dovresti vederti, e quella rosa, non vedi che è appassita, l’ho messa per, l’hai messa perché se la mettono le puttane da spiaggia dico bene, ascolta, metti giù questo affare, TU dai ordini a ME, non riesco a parlare così, per favore, solo se accetti il mio bicchiere di latte, mi pare il minimo, va bene, ma ci sono delle cose che devo spiegarti, lo preferisci freddo o a temperatura ambiente oh, spero che parzialmente scremato ti vada bene perché io bevo solo quello, è uguale, no, non è uguale, mia sorella non è morta in modo uguale, temperatura ambiente, immaginavo, la scelta più banale, scommetto che tu invece lo bevi freddo, perché tu sei sempre e comunque genio, anche se scusate ma non sono un carpentiere, geniale, perché è così che in fondo la pensi, ma sei solo un alcolizzato che ha distrutto la vita di decine di persone, e io amavo tua sorella, ecco il latte, il latte ti calmerà, lei lo prende, è un bicchiere enorme dell’Ikea da mezzo litro pieno quasi fino all’orlo, lei beve, io non volevo creare tutta questa lotta tra famiglie capisci, tuo fratello, il bullo che si fotteva mia sorella e, non poteva finire lì la faccenda, sulla sedia a rotelle campava dignitosamente mi pare, dopo lo scherzo di Halloween, quello dell’acido muriatico nelle Balenciaga, gli si sono corrose le gambe fino al polpaccio, hanno dovuto amputargliele, e suo fratello si è vendicato su tua sorella, mi ha raccontato come sei andato a strisciare da lui, a recuperare qualche pezzo, come se qualche pezzo potesse servire a rimettere insieme gli altri, ascoltami TU adesso, lo scherzo non era stata una mia idea, dovevamo metterci dei ragni nelle sue scarpe preferite, non acido muriatico, ma fottutissimi semplici ragni per spaventarlo a morte nello spogliatoio perché, lei mi butta il latte addosso, io le tiro un calcio sulle labbra, le si spaccano tutte, forse anche qualche dente si scheggia, ma sono stato attento a prenderle solo le labbra, un dentista non potrebbe certo permetterselo, lei urla e piange, porto le scarpe mezzo numero sotto, così i calci sono più forti, è un trucco che mi hanno insegnato i ragazzacci che giocano a calcio sul tetto dell’edificio abbandonato, siamo diventati più che dirimpettai, direi quasi amici, e in molti sensi, la puttana scaltra con la rosa appassita piange, poi dice, spero che tu possa morire presto, spero che tu possa soffrire come hai fatto soffrire tutti noi, che dio ti ascolti, chiunque Egli sia, le dico, breve pausa, poi il diario, fa lei, quella pagina, c’è la testa di una Barbie attaccata a uno spago come segnalibro, non chiedermi perché, e questo cos’è, lei mi guarda singhiozzando, fa fatica a parlare, capisco che vorrebbe usare il bicchiere vuoto ai suoi piedi per colpirmi con tutte le sue forze, ma ha bisogno di me, ha bisogno che io viva ancora per un po’, è chiaro, ti ho chiesto questo cos’è, è una lista, QUESTO lo vedo ma, l’aveva ritrovata la testa della Barbie, la bastarda, al pensiero di lei che fruga tra le tue cose, sotto il letto, tra i libri, nel cassetto dei calzini, sorridi, e lecchi la polpa di arancia rimasta agli angoli della bocca, è una lista, lei prima di morire mi ha detto, e si ferma, guarda nel vuoto senza niente da bere, provi quasi pena per lei, mi ha detto prima della fine del processo, la scaltra ha tipo una crisi, trema, le butto la mia giacca addosso, la daga nella cinta, vuoi un altro po’ di latte, la lista, sta per sboccare, vado a prenderti un, si asciuga quel che resta delle sue labbra con un gemito, hai poco più di una settimana per ucciderli tutti.

L’Inesistente
Credits: Egon Schiele, Die eine Orange war das einzige Licht, 19-4-1912, private collection, Vienna