Gerusalemme

Tatuati pure questa chat sulla tua pelle profumata così ti ricordi di quanto sei pazzo, freccina blu, inviato, vorresti cancellare quel profumata con il bianchetto, e anche quel tua, ma la Apple ancora non offre questa opzione, eppure dovrebbero essere abbastanza smart da capire che a dire le cose si sbaglia in fretta, specialmente con il pollice infuriato di una ragazza con Mezzosangue nelle cuffie, e niente, doppia spuntata, dovresti darci un taglio con romanticismi e robe simili ma i maschi ti piacciono troppo, non riesci proprio a smettere, avrà già fatto uno screenshot per mostrare a uno dei suoi bro quanto è riuscito a metterti sotto, gli faranno pure i complimenti, accidenti, perché i ragazzi più carini si siedono sempre sul sedile alle tue spalle, dopo aver litigato con il tuo fidanzato ti viene subito voglia di andare con qualcun altro e lui, il tipo seduto in metro dietro di te, sembra okay a giudicare dalla nuca, quel piccolo neo alla destra del collo, la caviglia sottile scoperta dal risvoltino discreto dei pantaloni color caramello, le spalle sotto la maglietta nera, un fascio di spaghetti leggermente allentati, ancora fumanti di pentola, ma salati al punto giusto e perfettamente al dente, nella busta della spesa hai un sugo pronto, ma non fanno più quella pubblicità sciocca che piaceva al tuo papà prima che l’incidente in auto lo trinciasse a metà, a te tutto sommato è andata bene, le schegge del parabrezza ti hanno inciso le lacrime nella carne, dalla rima interna al mento, e non era un sogno dei tuoi, temevi di rimanere sfigurata fino al giorno del giudizio e per tutto il liceo ti sei coperta il volto con sciarpe di ogni genere, anche se ogni volta ti sentivi in colpa a nasconderti, perché al tuo papà era negata la scelta, nell’oltretomba coprirsi o scoprirsi non fa più tanta differenza, avevano rimesso insieme le due parti del corpo con una pinzatrice gigante e, no, non era andata così, ma sottoterra c’era dovuto andare lo stesso, perché hanno inventato i funerali, ti sei chiesta, non potremmo semplicemente farci a pezzi tra i fiori e crescere nei loro steli per la vita che resta, quale vita poi, senza il tuo papà, da cui hai preso l’altezza e quegli occhi glauchi spalancati sul mondo, gli occhi tuoi belli brillano, ti diceva cantando, e ancora non sapevi che aveva inserito quell’aria nel famoso spot di un profumo, perché lui lavorava nella pubblicità, le guardavate e commentavate spesso seduti ai piedi del tuo letto, ma tu ti imbarazzavi, per l’odore forte della schiuma da barba asciugata male vicino a te, ma soprattutto perché lui si congedava con un bacio a stampo dal vostro briefing domenicale, lasciandoti immobile e arrossata come una strega in bilico sulle fiamme di un rogo, e lo sentivi già affrettarsi sui gradini e mettersi ai fornelli di sotto con i Genesis a palla per cucinarti qualcosa di speciale, uno dei suoi piatti destrutturati dalla lunga e meticolosa preparazione, incredibili alla vista e anche buoni, papà potresti abbassare la musica per favore sto facendo i compiti, gli dicevi fermandoti a metà delle scale con il corrimano in mogano nero, trattenendo i liscissimi capelli nocciola a prova di Ferragni che ti arrivavano già sotto i seni in promettente gestazione, adesso i capelli li porti ancora più lunghi, con occhiali da sole Chanel sulla testa, perché ti piace fare la donna che conta, benché le cicatrici non siano del tutto rimarginate, i pezzi di vetro nella carne li senti ancora lì, ma non puoi fare a meno di osservare con brama composta tutti quei dettagli del corpo maschile che fanno viaggiare la tua mente, tutti quei corpi spezzettati che danno corpo ai tuoi sogni, come un neo sul collo o il risvoltino dei pantaloni color caramello di questo ragazzo con gli spaghetti nelle spalle, perché purtroppo non hai ereditato da tuo padre il talento per il rumore in cucina e per far prima ti prepari degli spaghetti al pomodoro, pochi grammi, ovvio, ma rinunciare alla goduria di arrotolare quelle stringhe fumanti su una forchetta + fogliolina di basilico sarebbe un vero peccato, rinunciare a un gesto così armonico che neanche le monadi di Leibniz riuscirebbero a spiegare proprio no, anche perché tutto è spirito, ne sei convinta, se tuo padre è sparito e tu lo senti ancora come se fosse seduto accanto a te ai piedi del letto con la barba da rifare, tutto non può che essere spirito, da una forchettata di spaghetti arrotolati ai fiori che spuntano dalla busta gialla dell’Esselunga e con cui decori il tuo bilocale finemente annaffiato in ogni sua parte, da quando hai iniziato la laurea triennale, l’idea che tuo padre possa farti visita nelle stanze che progetti per te e per la tua carriera intride ogni tua azione, passare di fiore in fiore come la cover di un vento che ascolta l’infinito contatto di due petali rossi, le sue labbra sulle tue labbra, in quel bacio rapidissimo sulla copertina del disco preferito, quel bacio che ti imbarazzava e che nessun ragazzo riuscirà mai a restituirti nella sua innocenza universale, mi disp se non stai bene per em, scrive il tuo fidanzato su WhatsApp, e poi corregge l’em con un me, e tu pensi che se questo è il migliore dei mondi possibili chissà gli altri come sono, lo pensi mentre ti alzi e ti siedi davanti al ragazzo non più alle tue spalle, sorridendogli con nonchalance nella frazione di secondo in cui si scolla dal display dello smartphone, e gli dici scusa, alludendo alla busta dell’Esselunga che gli ha sfiorato il piede destro, ha le striscioline di plastica rossa del negozio ancora agganciate alle scarpe da ginnastica bianche immacolate, risponde al tuo sorriso scuotendo la testa come per dire niente, quindi ti metti a guardare fuori dal finestrino anche se non c’è niente da guardare perché sei in metro ed è tutto nero, così gli lasci il tempo di osservarti, bei fiori dice, cosa hai detto, fai tu fingendo di non aver capito, e ti togli un auricolare, bei fiori ripete lui, protendendo le sopracciglia sulla busta dell’Esselunga, e non è mica un ciospo, diciamo un otto meno se la piantasse di grattarsi, sembra anche uno che prende l’iniziativa, sulle braccia ha uno sfogo di bollicine rosa, forse un’allergia, grazie, che cosa ascolti, diventa quello che sei, cos’è, gli porgi l’auricolare, Mezzosangue, lui sorride, si toglie il suo e si mette il tuo, il modo che ho trovato è morire per farmi forte, dice la canzone, tu avresti preferito che tuo padre non morisse nonostante i fiori e il vento che ascolta, trinciato in due, che spettacolo, meglio non vederlo, esplodere nell’auto, piuttosto, supernova insieme a lui, la luce la fa la notte, figo dice il ragazzo e sorride di nuovo, non sembra fare caso alle cicatrici sul tuo volto, tu comunque tiri su la sciarpa, è una canzone filosofica, spieghi, ma senza l’attitude da maestrina perché hai capito che con lui attaccano altre cose, bebi dove sei, scrive il fidanzato pazzo e il ragazzo sbircia la tua chat di WhatsApp, scusa dici tu, e allontani l’iPhone, vai tra, alla rovescia ancora non so leggere, senti, ti fa restituendoti l’auricolare, ti hanno mai detto che i tuoi occhi brillano un botto, oh sono un idiota, certo che te l’hanno detto, tipo in milioni, la metro frena, tu trattieni i capelli come quando ti bloccavi sulle scale per dire al tuo papà di abbassare il volume, è la mia fermata, dici, e fai per alzarti, ma lui ti tocca la rotula della gamba sinistra con il dorso di indice e medio della mano destra, aspetta, il suo sguardo è vacuamente psichedelico, come quello del fenicottero visto in streaming sotto il piumone che è tornato a farti visita in sogno l’altra sera, tu invece torni a trattenerti i capelli, le scale dell’appartamento ruotano attorno a te e tu sei bloccata in mezzo a un intarsio di scalini che non portano da nessuna parte, il cd di Peter Gabriel è spaccato nelle tue mani, le porte automatiche stanno per aprirsi, vorrei solo offrirti un drink, ti va un drink, le sue dita sono fredde, ti entrano nel ginocchio, si spalmano sulla rotula come il gel di un’ecografia, lo guardi e hai paura di dire la cosa sbagliata senza la possibilità di usare il bianchetto, senti le ferite riaprirsi sul tuo viso, l’urlo dell’auto che si schianta, prendi gli occhiali da sole e te li metti sugli occhi, bebi ti prego rispondi se vuoi tenerlo cioè parliamone no, scrive ancora il fidanzato, ma tu alzi lo sguardo sul ragazzo-fenicottero della metro, il drink magari un’altra volta però tieni questo, sfili un fiore rosso dalla busta dell’Esselunga e glielo metti tra le dita, quelle che ti sono entrate dentro per palpare il bambino, sicura di non volere un drink, offro io, perdonami oggi proprio non riesco, scendi dalla metro, ma non è la tua fermata, aspetterai il treno successivo e amen.

L’Inesistente
Credits: Jean-Michel Basquiat, Untitled, 1982