Porta Genova

Il prato comincia a tremare, non solo i fili d’erba sotto i tuoi calzini bianchi postcorsa da studentello figlio di papà, vibrano anche le foglie degli alberi, iniziano a vibrare quelle più piccole, che si aggrovigliano sull’aquilone azzurro perso da qualche bambino alla tua sinistra, e poi i rami e anche le foglie più grandi, mentre i cani cominciano ad abbaiare e le persone nel parco si appiattiscono al suolo, cercano di capire la natura di quella vibrazione, pensano si tratti di un’anomalia, una variante del virus sfuggito alla d’Urso, un medico per favore, urla qualcuno oltre le tue dita dei piedi, ma tu sei ancora ad anatomia uno del tutorial su TikTok, quindi non ti scomodi, anche se non studi medicina fa figo sciorinare presunti interessi paralleli durante i colloqui per gli stage, perciò sorseggi la tua CocaZero massaggiando le ossa oltre il confine dei pantaloncini per un ripasso veloce, finché un medico appare, vedi un tizio con il camice bianco che si mette ad auscultare la terra con lo stetoscopio, uno stetoscopio rossonero che sembra un serpente corallo di quelli del tuo vecchio libro sui rettili spaventosi, mentre i cani continuano ad abbaiare e tu senti il sudore raffreddarsi nel tessuto sintetico che ti spezzetta il corpo come un sudario riciclabile, un serial killer da quattro soldi potrebbe tranquillamente farti a pezzi, perché ciascun pezzo di te è già segmentato in un indumento tecnico dal destino scritto sull’etichetta della Decathlon, basterebbe una mannaia o anche solo un coltello da bistecca affilato bene per sporzionarti, dividerti nelle parti che ritieni ti appartengano quando la mattina ti rifletti nello specchio e ti sembra di essere intero, con il letto ancora sfatto alle tue spalle e la camicia da abbottonare per l’università, la corteccia dell’albero comincia a fare male, vibra anche lei, forse la tua maglietta si è incastrata nella corteccia, forse la tua maglietta tecnica è la corteccia di quell’albero, l’aggancio mai rimpianto alla tua verginità, sei troppo stanco per verificare questa assurda sovrapposizione, il medico scuote la testa, la gente radunata attorno a lui sgomenta prende cani e bambini e si ritira verso casa, stasera niente aperitivo, si piangerà su qualcosa, forse sul cuore del mondo che ancora batte e muove le cose, le muove tristemente illudendoci di essere delle cose intere, mentre invece siamo solo dei frammenti messi insieme dal caso, e corriamo, sudiamo, il sudore si raffredda, tutto improvvisamente diventa freddo, dal camice bianco spunta uno scheletro, ti fissa con lo stetoscopio milanista arrotolato al collo, maledetto bastardo, pensi, tu che avevi fissato l’ape da un pezzo con quel tipo che ti piaceva su Grindr, dovrai tornare nella tua stanzetta e sfogarti con la vagina di plastica presa in offerta all’ultimo Black Friday, vibra anche lei come il mondo, vibra come l’origine del mondo di Courbet se potesse uscire dal quadro, ma nel quadro adesso ci sei tu, siete rimasti solo tu, i tuoi calzini ormai asciutti accavallati nell’erba e quello scheletro che ha rovinato tutto, proprio oggi doveva mettersi ad auscultare il mondo, il suo battito incessante, e squarciarti con lo sguardo delle sue orbite cave la gola bramante Spritz e pure altro, in profondità, ma qui non lo diciamo cos’è, quell’altro, siamo riservati dopotutto, il coinquilino non lo sa, nemmeno il suo cane sospetta nulla anche se spesso ti guarda male, eppure la cosmesi è importante, perché tutti questi pregiudizi se i Måneskin fanno rock ‘n roll vestendosi da donna con milioni di follower e il mascara è universalmente sdoganato, il tuo master in fashion communication non solo è gravido di significato, ma è degno del rispetto di quel cane e anche di quello del serpente corallo che ora si slaccia dal collo dell’ex medico ormai scheletro e striscia puntando alla tua gola, cosa aspetti, vuoi davvero che ti entri dentro, pensi sia solo la tua immaginazione, lo stress presessione, a far vibrare tutti i fili d’erba, e i rami, le foglie più grandi e anche quelle più piccole che si avvolgono sull’aquilone azzurro, abbandonato come una crisalide di poco conto, ma da lei nascerà una farfalla e potrai darle il tuo nome, purché tu abbia l’accortezza di spruzzarle sopra qualche striscia nera dal tuo davanzale, così da bilanciare il tifo, una biro si potrà pur sacrificare, la farfalla nerazzurra sarà la tua resurrezione di ragazzino sotuttoio sbarcato in verticale a cosce aperte sul bosco più cool della penisola lasciando una scia di taralli sbriciolati dietro di sé, e il mascara te lo metti, certo, non in tutte le occasioni, ti piace truccarti come un puttanone a Capodanno, ad esempio, perché è festa, perché fa fluid, perché non sei che un ammasso di cose a caso e quei colori finti tutto sommato appagano il tuo ego, ma non solo quando è festa, dolcevita ceruleo oppure orange, chiedi amleticamente su Instagram, oggi niente camicia, vuoi essere te stesso, e sbirci il ritratto di Di Caprio fatto con la china dalla tua amica prefe per estorcere un occhiolino d’approvazione alla destra dello specchio, effettivamente una serata di sesso senza amore era proprio quello che ci voleva per scacciare via i pensieri, mica solo quelli brutti, proprio tutti i pensieri, farsi legare, bendare e, il serpente corallo ti passa la lingua biforcuta sul labbro inferiore e tu hai già aperto la bocca, dimentico del sex toy meid in ciaina che ti attende accanto all’effige del beneamato Leo sullo scaffale della libreria, chissà se è velenoso, pensi, quasi sicuramente lo è, ma purtroppo non ti si infila dentro l’esofago perché adesso ti vibrano pure le chiappe, il parco si crepa al centro e il serpente milanista ti si attorciglia sul timidissimo pomo d’Adamo come una collana, però non hai uno specchietto da trucco a portata di mano per ponderare il contrasto cromatico dell’accessorio sulla tua t-shirt verde Quechua, e comunque dalla crepa centrale del parco sbuca un vagone della metro tutto sgangherato, ha sfondato la terra dall’interno, sospinto dall’anomalo battito del mondo annunciato dall’ex medico ormai scheletro che non si vede più perché riverso dall’altra parte del vagone sfrigolante di lucine e cavi sovraesposti e circonferenze rosse con impronte di piedi bianchi estirpati dagli abissi, là dove a volte ti chiedi se non sarebbe meglio sparire, lasciarsi inghiottire, invece di imbellettare la vita e credere che vada bene così, basta che i colori matchino e che la team boss del master ti dica implicitamente wow per qualche tua metafisica trovata su un detergente da lanciare, ma ora sul viso, per essere precisi sulla guancia destra, senti la lingua biforcuta dello stetoscopio che ti fa il solletico, mentre dal vagone cominciano a uscire nuovi scheletri, lentamente, uno dopo l’altro, vestiti di tutto punto e con la mascherina allacciata al gomito, riempiono lo spazio del parco, i fili d’erba non tremano più, e nemmeno i rami, nemmeno le foglie grandi, nemmeno quelle piccole aggrovigliate da cui comincia a fare capolino la farfalla azzurra, è più grande di te, la folla di scheletri si sparpaglia nel parco e riprende la posizione lasciata dalle persone che, sbigottite dal battito del mondo, sono tornate a casa con cani e bambini saltando l’aperitivo, così vedi gli scheletri accoccolarsi in gruppetti vicino agli alberi, ci sono anche i cani ma non abbaiano, tu ti stacchi dal tuo albero, la maglietta si strappa, intanto gli scheletri muovono le mandibole senza dire niente, fumano sigarette, si sbaciucchiano, swappano sugli schermi dei loro iPhone con pollici scarnificati, e tu li guardi in piedi e a petto nudo, finalmente sganciato dal passato o dal presente, la maglietta è rimasta impigliata alla corteccia, cinque Euro e novantanove è il prezzo del corpo che tornerai a riprendere quando sarà tutto veramente finito, ti viene da ridere ripensando alla vagina di plastica che ti sei comprato, ironia del desiderio, forse, o del giudizio vibrante, quindi ti stendi supino sul prato, l’erba sulla pelle ti fa sentire vivo, con il serpente corallo nelle orecchie ausculti il battito del mondo, sempre più lontano.

L’Inesistente
Credits: Jean-Michel Basquiat, Baptismal, 1982