Bande Nere

Alle tue spalle le porte automatiche restano bendate di luce qualche secondo, dentro la metro non c’è nessuno, davanti a te la prima cosa che vedi sono degli uccelli neri disegnati su un sottilissimo monolite trasparente, gli uccelli separano il sottoterra dal cielo, che svanisce in striscioline stratificate blu tipo ultimo brandello di pastello a cera oltre gli uccelli, che dovrebbero servire a non far sbattere sul plexiglas gli uccelli veri, almeno così è scritto a caratteri cubitali su un cartello, come se fosse necessario spiegare la cosa ai non uccelli come te, con la borsa della Puma a tracolla, imputridito d’erba e sudore perché gli spogliatoi non si possono usare, ma l’allenatore vi vuole preparare per il torneo estivo, che speravi di non fare perché hai preso il debito parziale in scienze umane, perché la professoressa si è fissata che non studi, per carità, basta guardarlo tutto carinopulitino al banco per capire, diceva lei durante il ricevimento genitori online, come se ci fosse qualcosa da capire, e così ti ritrovi a cerchiare con l’evidenziatore fucsia le parole chiave degli antropologi sulla metro che ti porta al campo, senza considerare che quando c’è afa come adesso ti si irrita la pelle, diventi un rosé frizzante in divisa da calcio, per sfregamento appare una specie di reazione allergica ma non si capisce a cosa, microbollicine su tutta la superficie cutanea, se le gratti si spaccano ed è lievemente godurioso, però i calzini bianchi cominciano a diventare rossi dall’interno, manco t’avessero segato i talloni d’Achille in una sessione di riscaldamento preliminare con Saw l’Enigmista ad affilare lame dentellate nel box della sala stampa, una specie di tendone da circo sugli spalti da cui pare che osservatori scrutino le contrazioni dei vostri quadricipiti adolescenziali con il monocolo a infrarossi e taccuino fremente nella mano, perciò è d’obbligo fare bella figura, mostrare tutto il proprio potenziale, non sei ancora CR7 che sposta la Coca Cola come e quando gli pare, devi schiacciare il compagno sotto i tacchetti di ferro, perché nella vita l’amicizia conta davvero, ma un buon procuratore è meglio, il tuo ti fa anche da padre, e anche se non capisce un tubo di calcio, appassionatissimo ti versa proteine nel succo d’arancia guardandoti come se fossi già un desiderio di mercato in prima pagina e non un ragazzino schivo con il rotolo di carta igienica nel cassetto e il Topexan accanto allo spazzolino, e tu lo guardi con gli occhi di un cucciolo che si fa accarezzare per garantirsi i preservativi settimanali e un Dylan Dog usato, ma ora che hai scoperto il magico effetto delle femmine i fumetti li hai lasciati un po’ da parte, almeno risparmi e puoi permetterti di offrire loro un drink, soprattutto se riesci a sfilare il Settebello al fratello, quello sì, ancora nell’involucro, perché lo lascia nel portafoglio Versace in bella vista sul comodino separaletti della vostra stanza per sbatterti in faccia che lui già lavora e guadagna qualcosa dando ripetizioni di greco e latino, mica come te che fai schifo a scuola e sul campo hai ancora tutto da dimostrare, però intanto, mentre da bravo tracanni tutto il succo d’arancia sotto lo sguardo adorante del padre, lui si soffoca con i Pan di Stelle, il padre gli dà qualche pacca sulla schiena, aspetta che il fratello respiri in autonomia e poi torna a te che succhi con un lieve sogghigno la sbobba del campione, ha passato il test della patente al primo tentativo, pratica e teoria, quel sottone, ma ancora non ha capito come mandare giù un biscotto, e lo sputa sulla tavola, esagera un botto secondo te, sa di non essere il preferito, sa che a nessuno frega niente se sa a memoria il paradigma di baino e vince tornei in traduzione di lingua morta per teenager disadattati, e sai anche che si masturba molto più di te, perché spesso si dimentica di sostituire il rotolo di carta igienica impudentemente assottigliato nel cassetto, tanto che una volta addirittura ci hai trovato solo il cilindro di cartone, quindi hai usato una sua canottiera per pulirti e hai sostituito il rotolo di carta igienica, ma il cilindro l’hai conservato, gliel’hai mostrato di sfuggita proprio a colazione, usandolo come il monocolo di un osservatore da top club che sbircia dal tendone da circo, lui ti ha visto e ha sputato i Pan di Stelle come di consueto, ma se n’è andato a soffocare in giardino lasciando spalancata la porta di casa, e quando il padre è tornato a guardare te come per chiederti se fosse successo qualcosa avevi già messo via il cilindro facendo spallucce, il fratello non ti ha rivolto più la parola, finché una volta rimasti soli in soggiorno con DAZN acceso sul derby della Madonnina non gli hai detto scusa bro, allora lui ti ha esaminato come una strisciolina di dna cercando di capire quale fottuto crossing-over avesse potuto introdurre un’anima così brutale in un corpicino tanto ambito, e gli hai detto che ti dispiaceva, bro sono stato uno stronzo, ma lui è tornato a guardare la partita con occhi bagnati rossocrepati e ti ha detto che le tue scuse potevi mettertele su per il culo, sulla sua auto non ti ci avrebbe mai fatto andare, allora tu gli hai fatto trovare il cilindro di cartone sul comodino accanto al portafoglio e all’involucro strappato del Settebello, il cilindro della carta igienica con sopra disegnato uno smile nero, lui ha fatto finta di niente, ha lasciato tutto lì così com’era, come se quel sorriso beffardo non esistesse, testardo com’è a non accettare il male si lascia abbindolare dalla propria sagoma disegnata su un muro di plastica e ci si schianta sopra, pensi guardando gli uccelli neri sul monolite di plexiglas che ti separa dall’esterno, mentre le porte automatiche finalmente si chiudono dietro di te e il treno s’infila nella galleria e rimane solo l’insegna EXIT che rischiara fioca murales di teschi intrecciati, tu li ignori e ti avvii verso l’uscita grattandoti il capezzolo sinistro, cavi spezzati sfrigolano elettricità dall’alto e i tuoi passi rimbombano nel buio, l’uscita sembra così lontana, le scale mobili improvvisamente così lente, le braccia e le gambe ti pizzicano da morire, la borsa pesa come un macigno, continui a grattarti, senti che le mani si bagnano, le guardi, sono coperte di sangue, le strofini sulla maglia incrostata di sudore, ma il sangue non va via, alzi la testa e di fronte a te c’è un tipo biondo senza un occhio che digrigna i denti con uno smile nero tatuato sulla guancia, indietreggi ma c’è solo il buio, l’insegna EXIT sembra sul punto di fulminarsi, intermittente continua ad allontanarsi, non sai più dove andare, il biondo ti afferra, provi a divincolarti ma senti i quadricipiti irrigidirsi, tutti i muscoli trafitti da spilli incandescenti, e lui ti stringe il collo e ride come una iena strafatta, ti preme un tubo di scappamento sulla bocca, provi a urlare ma non ci riesci, il tubo è attaccato a una maschera a gas della prima guerra mondiale, una di quelle che si vendono alle bancarelle del sabato, e ti copre naso e bocca, non riesci più nemmeno muoverti perché il tubo ti si è attorcigliato alle caviglie come un tentacolo, il biondo ride sempre più forte, ti accasci a terra sulle ginocchia, stordito, l’ultima cosa che vedi è uno stormo di uccelli neri, uno ad uno si sfracellano sulle sagome degli uccelli disegnati sul monolite di plexiglas come i proiettili di una mitragliatrice, gli uccelli, smembrati ma ancora semivivi, cominciano a colare verso il basso cinguettando insanguinati sulla superficie trasparente, finché i proiettili non finiscono e tu ti svegli, mi sa che ti sei pisciato addosso, dice la voce del fratello fissando il cilindro di cartone dritto negli occhi ai piedi del tuo letto, quindi si volta verso di te, la luce in strada filtra dalla finestra e spacca in due la sua faccia come l’insegna dell’uscita, l’occhio è bagnato come quando gli hai chiesto scusa per finta davanti alla tv, l’altro non lo vedi, sei quasi contento di non vederlo, la parte destra della sua bocca si muove, forse il tuo procuratore non dovrebbe darti tutto quel succo di frutta.

L’Inesistente
Credits: Jean-Michel Basquiat, Brother’s Sausage, 1983