Fëdor Dostoevskij – Le notti bianche

Tutti mi chiedono
tutti mi vogliono
donne, ragazzi,
vecchi, fanciulle,
qua la parrucca…
presto la barba…
qua la sanguigna…
Figaro… Figaro…
son qua, son qua…
… Ohimè che furia,
… Ohimè che folla,
uno alla volta
per carità.
Da Il barbiere di Siviglia, Gioachino Rossini, 1816

Non siamo a Siviglia; o forse sì? Non importa. Potremmo essere ovunque: la ringhiera a cui lei si regge singhiozzante appartiene a San Pietroburgo, così come a qualsiasi altra città in cui le notti, talvolta, si tingono di bianco, consentendo incontri altrimenti impossibili. Lui raccoglie le lacrime di lei e uno sfavillante squarcio di gioia improvvisamente si apre nella sua torbida esistenza da sognatore; le stringe le mani: a domani, a domani!
Le notti bianche sono momenti che possono essere vissuti solo se si è giovani (e non per forza all’anagrafe), solo se si accetta l’assurdità dei propri desideri, e tuttavia si continua a sperare, soffrire, immaginare. Insomma, se si accetta di abitare un luogo senza barbieri – perché qui il tempo biologico si ferma e i capelli non crescono più – un luogo senza Figaro ma comunque di qualità, un luogo dominato dalle nebbie del sogno, il vero factotum della città. Fate largo… Tutti lo chiedono, tutti lo vogliono: donne, ragazzi, vecchi, fanciulle.
Lei passa tutto il giorno a casa, perché la nonna cieca con la quale abita ha cucito le loro vesti con uno spillo, impedendole di andare a caccia di situazioni immorali. Lei, ogni tanto abbozza una scappatella, ma fallisce quasi sempre: ‘Sentite, non ridete della nonna. Io rido perché tutto è così buffo… Che fare se la nonna è proprio così, e solo io le voglio un po’ di bene? Allora la nonna se la prese con me: dovetti subito sedermi al mio posto e, addio, non potei più muovermi’.
La strategia dello spillo, però, si rivela inefficace: un giovane forestiero di bell’aspetto affitta il mezzanino, si trasferisce, e con garbo inizia a corteggiare lei. Prima entra nelle grazie della nonna, regalando traduzioni francesi di Walter Scott – Ivanhoe è particolarmente apprezzato – e poesie di Puškin; quindi si spinge oltre, inventandosi di avere un biglietto in più per un palco, un’occasione imperdibile, un’opera buffa: Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. La nonna è entusiasta dell’idea. Lei, attraverso la musica, scaglia timidi e arrossati sguardi al forestiero, che ricambia. Al ritorno, incendiata dal fresco ricordo di quell’incrocio oculare, scivola nel letto: sogna.
Sogna, spiega a colui che ha raccolto le sue lacrime, di incontrarlo al più presto, su quella stessa panchina: le aveva fatto una promessa. Un anno prima, infatti, non riuscendo più contenere i morsi dell’amore, aveva raccolto le sue cose in un fagotto, presentandosi al forestiero con le occhiaie scavate dal buio, istericamente pallida e in procinto di svenire. Il forestiero aveva capito tutto in un attimo; facendola sedere sul letto, le aveva detto che sarebbe dovuto andare a Mosca per sistemare i suoi affari ma sarebbe tornato l’anno successivo e, se lo avesse amato ancora, l’avrebbe sposata.
Promesso. Lei non poteva non accettare: a domani, a domani! Andare da qualcuno con il proprio fagotto, è indubbiamente una dimostrazione di coraggio, o meglio, di genuina furia; una furia indelebile sagomata a rasoiate dal sogno. È il simbolo del dono totale di se stessi a qualcuno. Una cosa assoluta. Una cosa buffa. Una cosa che solo i giovani che errano nelle notti bianche sono in grado di fare. Tuttavia, un gesto simile non implica un necessario lieto fine. Lei, infatti, aspetta sulla panchina raccontando la propria storia a chi ha raccolto le sue lacrime – il quale, a sua volta, si è innamorato di lei – perché è passato un anno, il forestiero è tornato a San Pietroburgo, ma ancora non ha dato segni di sé.
Uno, due, tre, quattro: alla quarta notte lui si dichiara e lei, sorpresa ed eccitata dalla novità, ride e preme il viso sul suo petto, bagnandolo con lacrime di altro sapore. E non si limita a queste effusioni: comincia a fare progetti. Dice che dimenticherà tutto; adesso ama solo lui e lui soltanto; gli stringe le mani: domani, domani! Si sposeranno e insieme alla nonna vivranno in una casa più grande e potranno perfino andare all’opera, magari a Il barbiere di Siviglia… Poi, frettolosamente, corregge l’inelegante lapsus: non vale, mia cara. Spillo scaccia spillo? Può darsi. Certo che il primo spillo avrà sempre un vantaggio sul secondo spillo… Infatti, sulla strada compare il forestiero e lei, senza esitare un microsecondo, si getta tra le sue braccia.
Mattino: il raccoglitore di lacrime piange, ma non ha perso; continuerà a sperare, soffrire, immaginare; perché possiede le forbici del sogno, e scriverà libri meravigliosi… Do Re Si Do Re Si Do Re Si Do Mi Mi.

L’Inesistente