Barbie III

Farà male, disse. Il commesso replicò con uno scatto rabbioso degli occhi; gli aveva infilato una Barbie in bocca, suggerendogli di morderla per contenere il dolore al momento dello strappo; non aveva trovato un oggetto più adatto a quell’uso e, a essere sinceri, non si era neanche impegnato troppo nella ricerca. Erano saliti a un piano superiore, dove c’era una stanza piena di scatole di cartone con articoli regalo, un divano rosso in pelle e, soprattutto, il filo di una lampadina, unica fonte di luce che oscillava nuda e intermittente sopra un tavolo di legno; il tavolo aveva l’aria di essere stato rifunzionalizzato in infermeria (e altro) svariate volte.
Lo strappo, necessario, fece male. Posò le forbici sul tavolo. Fermo! Bravo, continua a mordere la Barbie, devo fermare l’emorragia e pulire questo disastro. Il commesso grugniva, anche se aveva deciso di fidarsi: non poteva andare in ospedale né aveva voglia di perdere la mano per una stupida diatriba sul ghiaccio; che se lo prendesse tutto, il ghiaccio… Ma sentiva che non era l’unica cosa che quell’uomo strambo avrebbe preteso da lui; e se aveva dato priorità a medicarlo, non aveva intenzione di ucciderlo, almeno non subito.
Come ti senti? Ah già, scusa, puoi sputare la Barbie adesso. Mi gira la testa. È normale, hai perso molto sangue. Senti, se ti do il ghiaccio te ne vai? Non credevo di starti così antipatico, a pelle. Cos’altro vuoi? Devo ricaricare il Mac. Come? C’è una spina da qualche parte? Dietro al divano. Non provare a mentirmi, non farlo mai più; controlla, se non mi credi. Lo prese per il braccio sano; andiamo, stenditi sul divano. La Barbie era finita a testa in giù sull’orlo del kit di pronto soccorso, dalle gambe aperte colavano densi rivoli di saliva.
Il commesso non si reggeva in piedi, non avrebbe opposto resistenza. Questa la togliamo, spero tu abbia dei vestiti puliti anche per me; cosa, che hai detto? Gli tagliò la camicia con le forbici e lui rimase a torso nudo, dandogli la schiena, il capo ciondolante. Aveva perso conoscenza; lo strinse con più forza per non farlo cadere, e scorse il disegno di un minuscolo coniglio nero tatuato sul deltoide posteriore destro.
Lo spinse fino al divano, lo mise a sedere e, dopo avergli legato il polso sano al termosifone con tutte le bende rimaste, gli stese le gambe. Togliendogli le scarpe, si accorse che lì vicino c’era una presa. Si precipitò di sotto a recuperare la valigia che aveva lasciato dietro un cassonetto, nello slargo con i distributori di benzina dove aveva parcheggiato la Ferrari verde metallizzata; ne approfittò per riprendere gli occhiali da sole che aveva lasciato sul bancone. La valigia e la macchina erano ancora là; forse erano gli unici sopravvissuti in quel distretto.
Tornato nella stanza di sopra, notò che il commesso era ancora privo di sensi, ed era tremendamente bello, sdraiato così tipo Rose del Titanic, però naufragata o, comunque, quasi morta. Rovistò lo spazio alla ricerca del frigo, che trovò facilmente dietro un telo di velluto blu, che si chiuse alle spalle. Tirò fuori il sacchetto trasparente da sotto la maglietta; il sacchetto con la mano, quella che aveva raccolto per strada dopo aver letto le istruzioni sulla scatola di fiammiferi, quella mano bianchissima con un minuscolo coniglio nero tatuato nell’incavo, identico a quello sulla spalla del commesso.
Riempì il sacchetto di ghiaccio e lo posò nel freezer, sperando potesse bastare; agguantò una lattina di birra e uscì dallo sgabuzzino. Si tolse la maglietta di Batman, ormai un solido di sangue e sudore, e la buttò in valigia, facendo lo stesso con i pezzi della camicia strappata di lui rimasti sul pavimento. Estrasse un boccale da un mini angolo cottura e ci fece scivolare cinque cubetti di ghiaccio, su cui versò in contemporanea la birra e un’intera boccetta di Valium; mescolando con una forchetta la bevanda così ottenuta, prese il Mac dalla valigia e lo attaccò alla presa; si accese una spia verde. Il cavo del caricatore era corto, non avrebbe mai raggiunto il tavolo; si rassegnò a sedersi per terra accanto al divano: i piedi
del commesso gli sfioravano i capelli; aveva calzini di seta beige, umidi e sottili. Prima o poi si sarebbero fatti una doccia, pensò.
Assaggiando avidamente l’intruglio che si era preparato, osservò la vagina insalivata della Barbie rimasta capovolta sul tavolo; quindi puntò il cursore sulla mailbox e premette invio.

L’Inesistente
Credits: Salvador Dalí, Le géant Beliagog, 1920s