Uccelli neri su sfondo nero

Mentre sei in terrazza e stendi il bucato sintetico sapendo che mai si asciugherà, perché è talmente umido che ti sudano i bulbi oculari e la vista ti si appanna e respiri a fatica e non sai se è perché il virus comincia a prosciugarti gli alveoli polmonari o perché hai esagerato con l’ammorbidente alla vaniglia, all’angolo tra la strada principale e quella più stretta, che dal lungo mare conduce alle colline sbocconcellate da bombe antivirus nottetempo sganciate per decreto governativo, albeggia una bancarella di cani d’allevamento con zanne perfettamente uguali e denudate dai musi riarsi sul barbecue ancora fumante al di là dell’orda di motorini sparsi in lontananza, e il cielo si striscia di ditate di smog e qualche brillantino rimasto appiccicato ai polpastrelli dall’ultima vigilia di Natale in cui i bambini, ignari del contagio, incollavano batuffoli di cotone e spolverate d’oro alle vesti degli angioletti riesumati per consegnare i loro desideri al paradiso, desideri estremi, unti di brillantini spiritualmente onesti, ma di certo poco responsabili nei confronti della comunità, dato che da lì a poco sarebbe stato proibito scorrazzare in prossimità degli scogli infestati dai granchi e spingersi e scavare geometrie reticolari per Gormiti tarocchi ruzzolanti, afferrandosi per le caviglie e trascinando culetti sulla rena, quei desideri, scritti a caratteri cubitali da manine ignare, socialmente inadempienti e magari già infette, non caldeggiavano l’avvento di una mascherina nuova o guanti in lattice blu per poter giocare relativamente liberi in spiaggia, perciò adesso i bambini si arrangiavano come meglio potevano nei loro variopinti slippini da bagno della Badidas, arrotolandosi in faccia e sulle mani i calzini in filo di Scozia del padre o del fratello maggiore, quelli lunghi, o, se si andava di fretta perché la sveglia aveva toppato o semplicemente si era rimasti da soli a badare alla casa e non si sapeva come fare perché la mamma era all’ospedale, si usavano i collant smagliati che le prostitute ancora intrise di sperma lasciavano alla spiaggia, concedendosi un ultimo bagno nel mare tiepido costellato di meduse iridescenti al bagliore delle esplosioni collinari, prima di rientrare a casa dai loro mariti assenti o contagiati o allevatori di cani OGM, e oltre a coprirsi in questo modo, tamponando quindi la diffusione aerea del male con calzini e collant, i bambini rispettavano perfino il famigerato metro che ora legalizzava i contatti umani, lanciandosi gavettoni di sabbia purificata a distanza di sicurezza, che entrava lo stesso in tutti gli orifizi e corrodeva le mucose, ma pazienza, hai bevuto ti brucia, chiedeva uno per savoir-faire mutuato dalle serie TV, no vai tra, rispondeva l’altro tossendo pezzi di saliva arrossata, ci sta che siano rimasti dei cosi di vetro lì dentro tipo di birra, e l’altro annuiva caricando un nuovo gavettone senza smettere di tossicchiare, tanto era noto che su quella spiaggia ci fosse un po’ di tutto, e tu lo sapevi bene perché ieri sera eri lì a battere e hai ancora qualche leggera ustione da tentacolo luminoso sulla pelle chiazzata di salsedine e lividi, perché il turista adescato in discoteca indossava una mascherina cerulea esagonale all’ultimo grido e guanti total pleasure, di quelli gialli al mango sottilissimi che nemmeno li senti, ma mani pesanti e un corpo biondo che era il triplo del tuo, e ti eccitava pure l’idea di essere messa a novanta dal ricco gigante esotico terminale in libera uscita, perché, nella decomposizione generale, avere la testa schiacciata a terra da un rantolante malloppo di dollari che probabilmente sarebbe schiattato subito dopo esserti venuto sui collant, non era troppo disgustosa come sensazione, anzi, dava quasi un senso al tuo respiro forse ancora sano e all’orgasmo che nemmeno quella notte avresti raggiunto, guardando sullo sfondo, con la coda dell’occhio non ancora interamente affossata nella sabbia, la prima luce delle esplosioni notturne lievitare sulle colline, che cos’è, fa lui tirandoti su per i capelli, e in fondo alle pupille dilatate di quell’ex business shark amante del bondage vedi una goccia di paura, una paura non troppo diversa dalla tua, la paura di ospitare qualcosa di ingestibile che da un momento all’altro può farci cadere nel nulla, quanto tempo abbiamo ancora, la tua bocca scoperta sfiora il cerchietto di plastica della sua mascherina dimezzasguardo, senti le sue iridi algidamente assottigliate sulle tue labbra socchiuse, non lo so ma direi che siamo quasi alla fine, lui stringe più forte la presa viscida di mango e ti tira a sé lasciando che il tuo zigomo, premendo sulla mascherina, ne affossi lievemente la superficie, dammi ancora cinque minuti per favore, tu ansimi e colta da una misteriosa pietà post natalizia gli dici, okay ma ricordati di sborrarmi sui collant, ansima pure lui e ti rimette giù, ma stavolta chiudi gli occhi, ti concentri sul fragore delle esplosioni, sul rumore del mare in cui presto ti bagnerai, sulla voce di lui sempre più rauca, sempre più al limite, che ti sbrodola addosso in una lingua che non conosci le ultime sporche disperate parole della sua vita, e quindi il nero, ti concentri sull’infallibile nero che tinge il futuro di tutti, come gli uccelli che questa mattina attraversano la coltre di fumo che s’innalza dal rogo dei cani arrostiti all’incrocio delle due strade e arrivano a sovrastare la spiaggia, e quando, continuando a osservarli, sembra che rimangano sospesi nel cielo inquinato per via del vento contrario, come tante piccole stelle in procinto di spegnersi, ti ricordi che devi uscire e comprare dei nuovi collant prima che faccia buio.

L’Inesistente
Credits: Francis Bacon, Study for Crouching Nude, 1952 – https://bit.ly/3dIYAEV