Punti Fragola

Apri gli occhi e vedi il soffitto crepato, la perdita del piano di sopra allargarsi oltre le parti già ammuffite, umidità dai denti aguzzi su cui si sfilaccia il tramonto, il sole grigio rosa che sta per farsi inghiottire dalle acque del porticciolo, oltre il campanile sbudellato della chiesa total white che s’intravede dalla finestra senza vetri, ma i campanacci neri non scandiscono più le partite al campetto dell’oratorio, perché chi prega ormai prega a porte chiuse e i bambini se ne stanno a casa a ingozzarsi di merendine, attenzione a non finire le provviste però ché gli scaffali dei supermercati sono vuoti, e senti quella luce che sale, senti quei denti dardeggiare su tutto il corpo, soprattutto sugli occhi appena aperti, che bruciano da impazzire, Esselunga dacci oggi la nostra psicosi quotidiana, e anche i Punti Fragola, per favore, le fauci delle nostre proli si spalancano all’ombra delle dispense occidentali in bulimia esponenziale, è un dato empirico che non si può certo ignorare, e i denti si dipanano insaziabili anche sul succhiotto sovraesposto della tua forse già ex in prossimità della bretella destra della canottiera che puzza di ammoniaca e ceneri sparse, quindi su quel che resta del tuo outfit da skaterboy e sulla ferita alla gamba sinistra che ti palpi con un grugnito, alzi la mano e, sì, lo vedi tu stesso che questa volta hai fatto un gran casino, forse l’ultimo dei tuoi grandi casini, e i denti si affollano sul palmo insanguinato mentre la macchia bagnaticcia sul soffitto ride di te, ‘fanculo, provi ad alzarti, fa troppo male, la testa è un macigno e la gamba ti brucia più degli occhi, e cerchi di ricordare gli ultimi eventi di quella stanza, la stanza vicino al cantiere che copre i miasmi notturni sollevando pulviscoli di calce durante il giorno, la stanza che il capocantiere non ti fa pagare perché ti deve un favore, la stanza che riempi di bottiglie di plastica infilzate da cannucce colorate del McDonald’s, quello sulla provinciale dove ogni tanto porti lei, penso che non dovresti lasciare la scuola, ti diceva con tono materno ma già proiettato a ciò che si sarebbe lasciata fare in auto da te, perché in fondo, ma nemmeno tanto in fondo, lei un po’ puttana lo è, e probabilmente lo era ancora prima di conoscerti, si fa scudo di questo suo habitus da fotomodella Givenchy per caso, allontanandosi dalla città per il mero gusto di redimere anime tossiche di pescatori barcollanti sulla risacca alla ricerca di qualche frammento del proprio cuore, ma cosa ne sa lei delle tue storie, cosa ne sa lei se a causa del virus i pesci galleggiano pancia all’aria sempre più numerosi nella baia su cui si affaccia il villaggetto in cui sei nato, pesci sempre più punteggiati di rosso e di giallo manco fossimo in un quadro di Signac, e a nessuno viene esattamente voglia di pescarli, e tu che sei stato pescatore sai cosa vuol dire avere davanti un pesce e non poterlo pescare, voglio andare adesso da lei, cerca di metterti in piedi, voglio andare adesso da quella stronza, ti fa male, sì mi fa male cazzo, vuoi andare all’ospedale, no voglio andare da lei, buttaci sopra del disinfettante a quella ferita, tutto quello che hai, e attento a non confonderti con l’ammoniaca, adesso portami da lei, va’ in bagno e fruga in giro, l’ammoniaca è quella nella boccetta blu, ‘fanculo, adesso non è il momento di piangersi addosso, ‘fanculo ‘fanculo ‘fanculo, la boccetta blu è quella che usi per cucinare il crack, era lì lei era lì la sentivo ed ero felice, quella del disinfettante non so di che colore sia, ero felice cazzo, prendi il Lysoform da uno e novantanove e rovesciatelo addosso, no quello sulla destra, forza che tra non molto la devi incontrare al molo, e smettila di frignare, il sole è quasi spento, adesso cominci a ricordare, il tuo amichetto di infanzia è entrato nella stanza con altri due, non riesci a identificarli perché portavano le mascherine nuove, quelle cerulee esagonali approvate dal governo che arrivano fin quasi agli occhi dimezzando lo sguardo, ti hanno immobilizzato mentre lui ti dava dei gran ceffoni e ti infilzava la gamba con la daga, cos’era puoi dirmelo, di quei Punti Fragola cosa te ne fregava, se non sono cazzi miei come posso aiutarti, va bene, cioè si fa per dire, sciacquati gli occhi e stringi la ferita, lascia stare lo specchio, non ti fissare, cosa ti ha scritto, s’infila di furia le scarpe, ho sentito un bip, fa’ vedere, ehi, fammi vedere, ‘fanculo lasciami stare, attento a non cadere per le scale, sembrano scale a chiocciola però sono quadrate, è un grosso cubo che si moltiplica e scende, quanti piani hai detto che sono, non mi parla più, esce a rotta di collo dall’appartamento, il fiato si condensa ma sparisce subito trafitto da una pioggerellina velenosa, sale in macchina, prende l’iPhone e mette in moto scrivendo qualcosa, fa per accendere una sigaretta troppo bagnata per accendersi, guarda la strada davanti a sé, guarda il riflesso del suo viso fatuamente illuminato dalla luce del cruscotto scomporsi e ricomporsi sul parabrezza in linee verdognole là dove all’esterno due o più gocce di pioggia si fondono scivolando insieme verso il basso.

L’Inesistente
Credits: Paul Signac, The Buoy (Saint Tropez Harbor), 1894 – https://www.moma.org/artists/5421