Sgrassatore universale

Trascini fuori dalla doccia le ossa rosicchiate dall’incubo e t’infili lo spazzolino in bocca, il tuo futuro è evaporato tra le rovine del mercato del pesce che schiude gli occhi cisposi nell’alba imbustata di rosa, passi svelti tra le casse di legno vuote e luna in cancrena, sigaretta accesa sospesa nell’aria, non riesci a fumarla, ti trema ancora la mano, allora la butti via e speri che tutto vada a fuoco, ma il mozzicone finisce nell’occhio di una sardina, lo sfrigolio si sente da qui, è finita, nello specchio non c’è più nessuno, lei è stata assassinata e tu molto più di lei, non sai nemmeno se quel post su Instagram fosse vero, avresti dovuto pensarci prima di spremerti la sua giugulare fra le dita per ritinteggiare le pareti interne della mente, maledetto animale, farai tardi a lavoro anche se non senti più i denti, sappilo, lo dice il boss che quando un prodotto non viene più comprato cessa di esistere, e considerando lo sbrindellamento gengivale che ti stai autoprocurando, capisci perché quello stock di artigli Oral-B non fosse più degno di questo mondo, meglio non guardare fisso il buco schizzato del lavandino, potresti ricordarti quello che non hai fatto, potresti vedere gli occhi di Cappuccetto Rosso luccicare in fondo alla tana del lupo cattivo, che spettacolo sarebbe riattraversare la notte e bussare alla sua porta, sei certo che il signor lupo sarebbe ben contento di accoglierti, eccoti di ritorno mio bel magazziniere, esclamerebbe stringendoti con tutte le braccia pelose inzuppate di dopobarba Tom Ford al bergamotto, e senza alcun tipo di giudizio morale ti ritroveresti seduto al tavolino monoposto del bar con una fetta di crostata nel piatto, mangiane un po’, sarai affamato, la bambina incappucciata alla tua sinistra già si lecca l’orlo del guinzaglio aspettando che i tuoi polmoni si riempiano di marmellata, allora la tentazione di non tornare indietro sarebbe troppo forte, come il richiamo dell’occhio della sardina che brucia nel buio, tuffarsi lì dentro sarebbe il massimo della libertà, inutile negarlo, forse sarebbe stato meglio accettare la caramella da quello sconosciuto, chiudere la mente per sempre, ehi amico, ti fa da dietro il bancone, ne vuoi una, è un bear ciccione che pensa di farsi smilzo con una Lacoste nera, no grazie, tu non la vuoi la sua pattumiera, chissà cosa vuole fare poi, guarda che il primo giro offro io, ti dice senza parlare, o magari dice qualcosa, ma con tutta quella techno non riusciresti comunque a sentirlo, ‘sto frocio, non sai se ti fa più schifo l’idea della sua lingua che ti slappa da capo a piedi o la sicumera con cui ignora il proprio sudore da divoratore seriale di Pangoccioli, una specie di veleno bear sprizza fieramente tutt’intorno come se il secernente avesse miliardi di fontanelle microchippate nei pori della pelle, il semplice fatto di appartenere a una categoria animalgay lo autorizza a fare schifo in quel modo, pare, e mica molla la presa, anzi, finge di continuare a pulire il bancone con uno straccio sporchissimo, ma in realtà sei tu che gli interessi, tu che sei sempre più furioso e rileggi per la dodicesima volta quel post in cui lei, la tua donna, dichiara pubblicamente la necessità di essere se stessi e quindi di avere esperienze extraconiugali, perché limitare ciò che si è, perché legarsi a una sola persona è così stupido e retro, faccina da diavoletto viola arrabbiato, per non dire un crimine nei confronti di una società fluida in cui, cioè, non capisco perché un maschio non possa mettersi i tacchi o lo smalto se quel mattino gli viene l’impulso di farlo, faccina gialla sospirante che guarda in su, nel senso, ognuno potrà fare quello che vuole con le proprie unghie, giusto, il corpo appartiene a me e me ne frego, chiosa lei con bicipite gonfio + bandierina arcobaleno, il corpo appartiene a te bebi, ti viene da chiederle, ne sei sicura sicura bebi, no perché sai, a me ‘sta questione della non appartenenza mi sembra un po’ una scusa per fare la troia, bebi, e perdonami se sono scurrile, si può dire troia, o preferisci vacca, vacca bastarda, o si offende qualcuno perché le vacche sono sacre, poveretto, l’offeso, farei due parole volentieri anche con lui, il vaccaro terrorista, da prenderlo a spigolate in fronte con i banchi da scuola anticovid finché non gli esce fuori tutto il cervello, ma proprio tutta quella res cogitans sprecata, da far colare in un cartoccio di latte ecosostenibile, e senza dubbio vegano, da rispedire al diavolo che fa colazione con Maometto e Achille Lauro sull’erba del lungo Senna avvolto in un piumino di Moncler, bebi, c6, bebi dove cazzo sei, ti ricordi il quadro dell’Orsay, bebi io ti amo, bebi non c’è, bebi adesso è una strusciata di smile sullo schermo del tuo iPhone, la tua bebi se ne frega, cerca di capire, non siamo più all’epoca delle margherite seviziate per amore, tutti i fiori sono uguali, hanno tutti lo stesso colore, e un orso omosessuale ti sta offrendo della droga, inclina la testa di lato e si tocca la visiera del cappellino per fare lo spiritoso tipo militare mascolino tossico, no grazie, ripeti, nell’incavo della sua zampa paffuta scintilla un succoso satellite di Giove, dai amico che te ne frega, uno spruzzo del suo sudore ti plana sul labbro inferiore, lo assaggi, sa di sgrassatore universale, ti alzi e scagli il boccale di IPA al mango il più lontano possibile, non si rompe nulla, peccato, non sai cos’altro fare, esci dal bar e attraversi il mercato del pesce desolato a passi svelti, domani devi andare a lavorare.

L’Inesistente
Credits: Andy Warhol, Brillo Box (3 cents off), Christie’s New York, 15 November 1995, lot 222.