Canto dell’Hard Rock Café #8

Entrai nell’Hard Rock Café annaspando come un anfibio vincitore di una gara di corsa contro il diluvio. Avrei voluto che una mano invisibile mi strizzasse nella sua morsa da capo a piedi, ma probabilmente mi sarei dissolto in una pozzanghera allagando l’intero locale, causando un cortocircuito e l’esplosione delle casse che ovunque rimbombavano How soon is now? degli Smiths; inoltre avevo già messo in conto una broncopolmonite per la mattina successiva, sempre che già non avessi una febbre da cavallo. Un cavallo con le branchie, febbricitante, che nascondeva il libro H631 sotto il cappotto inzuppato.
Mi suona il telefono, messaggio su WhatsApp: Ce l’hai? Mi guardo attorno per individuare il trespolo dal quale il professore avrebbe potuto scorgermi, ma la sala era piena di gente sbevazzante o intenta a giocare a Pokémon GO, come i due ragazzini di spalle al centro del bancone: C’è un Magikarp che sguazza nel mio succo! L’ho visto prima io! No, è il mio bicchiere e lo prendo io! Guarda che dico a mamma che hai versato la sua cosa nel tuo succo! Ehi, mi fai male! Mamma è in bagno, e se continui a rompermi te ne do un altro! Mi suona il telefono, messaggio su WhatsApp: Insomma, ce l’hai? Appendo il cappotto e mi riavvio il ciuffo con il mio pettinino di acciaio tascabile: Ce l’ho, dove sei? Si avvicina un giovane cameriere, sudatissimo e brufoloso, che sembra intrippato da chissà quale acido; guarda mille anni luce oltre di me: sta aspettando qualcuno, signore? Sì, in un certo senso… Vuole accomodarsi intanto? Grazie, sarebbe magnifico! Se ne va senza dire altro, pispolando con l’iPhone: magari anche lui sta cercando di afferrare qualche Pokemon. Mi siedo a un tavolino con un tovagliolo accartocciato e una tazza non finita e sporca di rossetto: giro la tazza verso sinistra e finisco quello che c’è dentro, forse cappuccino. Quando abbasso la tazza, lui è seduto davanti a me: capelli e pizzetto bianco, e quel fastidiosissimo bottone di agata nera che mette ancora a posto della cravatta per fare l’intellettuale figo. In coda agli esami o ai ricevimenti avevo ribattezzato quell’aggeggio ‘la monade’: oh, oggi c’ha la monade! Sei in ritardo, dice fissandomi con i suoi occhi da nemico di Batman: due cubetti di ghiaccio appuntiti e roteanti, pronti a schizzare fuori dalle orbite.
I ragazzini che giocavano a Pokémon GO non sono più seduti al bancone, uno di loro ha lasciato una felpa azzurra sulla sedia; gliel’ho regalata io per Natale, quella, al mio bimbo più bullo. Sulla sedia accanto è comparsa una donna molto pallida, una sagoma di alabastro sottile vestita di nero, con le spalle scoperte e una cresta arancione. Ti piace, vero? Ha i capelli di colore diverso tutte le sere, osserva con una smorfia. Un tempo avevi gusto, sia per le donne sia per la filologia classica. Non sei più il mio professore e me ne sono sempre fregato delle tue teorie sull’alfa ionica! L’hai pure messa in cinta di due marmocchi, ma non ti vergogni? Una cantante punk da quattro soldi! Non è colpa mia se tua figlia è di una noia mortale. Eppure mi pare che tu la apprezzassi per la sua cultura… La sua cultura, mi scappa un ghigno, e col pollice gratto via il rossetto dalla tazza di cappuccino. Lo sai che sono tutte balle, me la sono fatta perché mi avevi promesso quella borsa alla Oxford University e tante altre belle cose, ricordi? Non ti facevo così, tutto res extensa: meriti questo, fa indicando teatralmente la mia famiglia col palmo all’insù; ti sei lasciato passare troppi treni sotto al naso… La tua smania di litigare con tutto! C’è sempre un nuovo treno da prendere, e forse anche un treno merci diretto in Tennessee potrebbe essere il migliore dei treni possibili… Questo idealismo naïf non ti ha portato molto lontano, caro! Definisca il concetto di ‘lontano’, professore. Non ho tempo per questi giochi, ce l’hai il libro? fa lui, visibilmente irritato. Sfilo l’H631 da sotto la gamba e lo ripongo sul tavolino con una mano sopra, non mi sono tolto i guanti: eccolo! i suoi cubetti di ghiaccio sfrigolano di stupore. Be’, come hai fatto? Non importa come ho fatto, so bene quanto vale una cinquecentina di Luciano di Samosata: almeno quanto un Magikarp livello 100. Cosa? Lascia stare, dov’è il trolley?
Nel bagno delle donne. Bene, muoviamoci! Al bancone mia moglie e i miei figli sono di nuovo insieme, e giocano. Lei mi guarda con la coda dell’occhio, e capisce che la fuga sarebbe stata imminente. Il professore apre la porta e mi mostra il trolley in uno dei cessi laterali. I soldi ci sono tutti. Mi strappa di mano l’H631: le pagine sono tutte bianche. I suoi cubetti di ghiaccio roteano impazziti, ma poi si sciolgono per la frustrazione: è uno scherzo? Qualcosa del genere. Le sue labbra si muovono, ma prima che possa pronunciare qualunque tipo di protesta, il mio pettinino di acciaio gli ha aperto la gola. La monade rotola per terra.

L’Inesistente
Credits: Hard Rock Café sign, Pigeon Forge, Tennessee