Nonostante la testuggine e i limoni

Fuori era già buio quando uscì dal negozio di animali, ma voleva fare una sorpresa al figlio, salutarlo almeno da lontano, non gli importava se aveva deciso di odiarlo per sempre e se forse era giusto così, sentiva il bisogno di vederlo, vedere anche solo un suo riflesso nello specchio della palestra dove andava ad allenarsi, perché quello sguardo, per quanto cattivo potesse essere, gli avrebbe trasmesso un senso di realtà, vedere il corpo del figlio muoversi e interagire visivamente con lui anche solo per il tempo di uno sguardo di rimprovero, gli avrebbe ricordato che era ancora vivo e che c’era almeno una ragione in carne ed ossa che lottava attraverso il vetro, una ragione piena di vita e incazzata con lui che gli apparteneva intimamente e che sentiva essere l’unica in grado di dargli l’energia per esaurire i chilometri che lo separavano dalla sua stanza, mettere qualcosa nel microonde, spogliarsi, accendere la tv su qualche programma scemo che non avrebbe guardato e bere tanta acqua, in attesa che il sonnifero ponesse fine alla giornata.

La pioggia gli colava sulla schiena attraverso il giubbotto non impermeabile, sgocciolando sul marciapiede che, ghiacciato in più punti, scricchiolava sotto i suoi passi, così per non scivolare si spostò rasente il muro della cattedrale dalla doppia cupola in cui l’ex moglie aveva giurato di volerlo nella buona e nella cattiva sorte, cercando di non dare troppi scossoni al sacchetto di plastica con il pesce che con uno sconto speciale da dipendente aveva scelto per il figlio, un pesce molto bello con una grande coda dai riflessi blu, che secondo lui gli assomigliava, perché era una specie testarda, difficile da far accoppiare, però anche coraggiosa e scenografica, infatti il maschio si lanciava in combattimenti all’ultimo sangue con i pesci che invadevano il suo territorio o quello che aveva deciso essere il suo spazio vitale, era una questione genetica, e suo figlio era così, un po’ matto, ma anche dolce e pronto a sacrificarsi per difendere ciò che gli sembrava prezioso, e l’aveva perfino visto sorridere, e molte volte, quando giocavano a scovare la testuggine centenaria e lui correva scalzo nel giardino della villa, finché non la trovavano tutta rugosa all’ombra dei limoni e lo sollevava sul guscio – ahia, mi punge i piedi come il fondo del mare – e raccoglievano i frutti, da tagliare in due e spremere e mescolare a generose cucchiaiate di zucchero – papà, questa è una bomba – diceva dissimulando una smorfia di disgusto, e rideva, e se ora non rideva più, perché il padre l’aveva abbandonato, quella sera una smorfia di disgusto sarebbe andata bene lo stesso, e se il pesce con la grande coda non gli fosse piaciuto, l’avrebbe portato nella sua stanza, dove da circa tre anni accumulava pesci in vasche che incastrava l’una sull’altra alle pareti, e gli avrebbe dato il suo nome.

Si fermò al limite del fascio di luce rettangolare proiettato sul marciapiede dalla palestra, allargò in avanti il torace a proteggere dalla pioggia il sacchetto di plastica col pesce, alzò lo sguardo e vide i corpi di tanti ragazzi muoversi e, in fondo, quello di suo figlio, che mezzo nudo tirava calci e pugni a un sacco, aveva i capelli tinti di rosso e una specie di calzamaglia da lottatore con una gamba gialla e una verde con ghirigori neri addosso, e non avrebbe più avuto bisogno di salire sul guscio della testuggine per raccogliere i limoni, era così cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto uscendo dal tribunale, era molto più alto, era proprio enorme, era come un pianeta osservato a distanza per un lungo periodo in tutti i suoi più microscopici crateri, un pianeta improvvisamente tanto vicino da non entrare più nel campo visivo del telescopio, perché gravita a pochi centimetri di distanza e a stento gli occhi riescono a contenerne la luce e le alterazioni superficiali più evidenti, si vorrebbero distendere i muscoli, allungare le braccia e le gambe, abbandonarsi a quella superficie, lasciarsi esplodere nella sua atmosfera o prelevare qualche campione, era come un territorio che sentiamo di dover contemplare nella sua purezza e difendere dagli intrusi, dai pesci che potrebbero contaminare le acque con la loro sola presenza, eppure, anche se ci appartiene, perché è parte del nostro sangue, perché davvero lo amiamo nella buona e nella cattiva sorte e non possiamo immaginare viaggio più sensato di quello che ci ha condotti fin lì per contemplarlo e difenderlo, si ha come il timore di violare uno spazio sacro, di spezzarne qualche delicata struttura invisibile con una carezza, perciò sorridiamo, e molte volte, o piangiamo, perché siamo felici di essere presenti di fronte a quello spettacolo, e pazienza se non riusciamo a toccarlo, quella forma di vita nuota già attraverso di noi.

Sul viso del figlio guizzò un bagliore subito oscurato da un’eclissi di rabbia, come se sulla pelle si fosse rivoltata una pellicola nera ribollente, un urlo disperato perso nel vuoto, il ricordo degli infermieri vestiti d’arancione che irrompevano in casa come il fiotto di un idrante difettoso, il ricordo del padre in pigiama che, mentre veniva portato via con la forza, spaccava per terra le ultime tazzine di caffè, quelle del servizio buono della madre, la quale aveva trovato un facile pretesto per liquidare il padre e con lui la villa, venduta nonostante la testuggine e i limoni, perché voleva andare lontano, cercare se stessa o roba del genere, perché non aveva mai potuto soffrire le sveltine del marito, che neanche sapeva nasconderle, né la sua smania per gli acquari, né tantomeno il suo alcolismo, ma soprattutto di lui non sopportava la voglia di essere felice a ogni costo, così dopo un dialogo con l’avvocato, aveva capito che poteva fare a meno di lui, portargli via la villa, la testuggine, i limoni e il figlio, affidandolo in custodia.

Ma le bolle nere si solidificarono e l’accensione degli occhi sciolse la rabbia dal viso del figlio, che scaraventò a terra i guantoni da boxe, sparì dallo specchio e apparve sulla soglia, fermandosi al limite del rettangolo luminoso, sul lato opposto a quello del padre – Ehi – il torso nudo fumava sotto la pioggia, si era fatto dei bei muscoli a furia di combattere – rientra dentro, così prendi freddo – era scalzo come quando correva nel giardino della villa – be’, pensavo mi volessi vedere – adesso beveva acqua e appena ne avesse messo da parte a sufficienza, avrebbe aperto il suo negozio di pesci rari e luminosi – infatti ti vedo – il figlio sorrise, e molto, sarebbe tornato a riprenderlo, avrebbe fatto riprodurre i pesci e insieme avrebbero comprato una nuova villa – questo è per te – disse porgendogli il sacchetto col pesce, la cui grande coda dai riflessi blu sventolò nella pioggia, e il figlio distese il braccio e strinse la mano del padre al centro del rettangolo.

L’Inesistente
Credits: Mark Rothko No. 14, 1960