Lato B

Prendi una cassa di birra e vai alla stazione per guardare i treni, i treni non trasportano persone perciò non si fermano mai, trasportano per lo più cavalli ma i cavalli non si vedono perché se lasciassero i finestrini aperti qualche testa potrebbe volare via mozzata dall’insegna vietatoltrepassarelalineagialla, perciò non ci sono finestrini, non ci sono persone e i cavalli non si vedono, però sei sicuro che ci siano, quei maledetti cavalli, ti siedi per terra, sotto la pensilina del bar che hanno chiuso per la pandemia, così puoi restare lì per ore anche se si mette a nevicare forte, e succede spesso, non ci va più nessuno a quella vecchia stazione, quando finisci la birra la conficchi nel terreno e ne stappi un’altra con i denti, così alla tua destra hai le munizioni pronte e quando passa il treno gliele scagli addosso con tutte le forze, non c’è neanche bisogno di alzarti, accendi una sigaretta e aspetti che passi il prossimo treno, più o meno trascorri così le giornate da quando lei, insomma lei non c’è più, non devi neanche farti la doccia, non hai provato a ricercarla, non hai voluto più sapere niente di lei, lei faceva la disegnatrice, aveva gli occhi blu, capelli biondicci ondulati e adorava il dark metal, tu avevi detto okay quando ti avevano chiesto di fare delle foto alla sua piccola galleria, uno shop ricavato dalla vecchia casa di legno di un pescatore, tu non è che avessi tanta voglia di fare quel lavoro, era un ripiego per racimolare qualche soldo e fare contenti i tuoi nonostante avessi superato i trenta e vivessi ancora con loro, per essere precisi nell’appartamento di sopra di cui affittavi alcune stanze agli studenti, ma pur sempre dai tuoi, e molti ti consideravano un fallito, avevi pubblicato un libro di poesie, autopubblicato a dir la verità, e poco altro, aiutavi tuo padre a montare delle bambole speciali per ricchi nell’azienda familiare del villaggio, erano bambole a grandezza naturale che sostituivano figlie o mogli o amiche o amanti venute a mancare a causa dell’ennesima variante vaccino resistente del virus, in tempi di Covid le bambole speciali erano un dono prezioso, non erano androidi, non erano dotate di parola né di intelligenza né di coscienza, ma erano fabbricate con tessuti sopraffini e indistruttibili, sparivano solo con particolari solventi ecologici venduti dalla stessa ditta, insomma facevano compagnia ed erano moralmente accettabili, e se all’inizio ti ripugnava solo l’idea di stare in mezzo a quelle donne finte, è lì che avevi cominciato ad avvicinarti alle donne, tu infatti eri terrorizzato dalle donne, dal contatto fisico con una donna, non riuscivi nemmeno ad abbracciare tua sorella, che pure ti voleva bene, e infatti affittavi le stanze solo a studenti maschi, tanto che nel villaggio era cominciata a girare la voce che fossi gay, ma tu eri un tipo molto solitario, non vedevi quasi nessuno se non per necessità, il sesso non ti interessava, eri vergine da sempre, non che non ti masturbassi, ma lo facevi quando ti facevano male i testicoli, solo per svuotarli, su PornHub non avresti saputo cosa cercare, anzi, tutte quelle categorie le trovavi prive di bellezza e spegnevano in te ogni desiderio, così andavi in bagno, alzavi la tavoletta del cesso, chiudevi gli occhi e in trenta secondi o giù di lì era finito tutto, al sesso preferivi le sortite solitarie al lago, nessuno ti disturbava, andavi a camminare e a fotografare gli alberi abbattuti dal vento, ti piacevano le radici che dalla terra si contorcevano verso il cielo senza sapere cosa fosse, ti inginocchiavi di fronte agli alberi per riprenderli così com’erano, spezzati e immortali nelle tue fotografie, ma poiché sul tetto dell’azienda, ovvero dell’edificio abbandonato adibito ad azienda familiare, venivano a giocare a pallone dei teppistelli il sabato pomeriggio, e tu li lasciavi fare perché se a tuo padre davano fastidio, di solito il sabato lui rimaneva a casa, nell’atelier dello scantinato a dare gli ultimi ritocchi con il pennellino agli occhi delle bambole speciali, a te non dispiaceva quel trepestio rimbombante oltre il soffitto, quelle urla e quelle risse erano come un carillon di suoni perduti nel tempo che ti esortavano a fotografare le donne, o quello che erano, così hai cominciato a fotografare le bambole speciali, le mettevi in tutte le pose, non erano foto pornografiche e non le facevi mai vedere a nessuno, immaginavi di vivere le loro vite, di essere lì quando si sedevano a tavola, quando litigavano o quando, dopo aver litigato, si mettevano a guardare fuori dalla finestra il paesaggio industriale  con in mano una tazza fumante di tè, completamente da sole, erano le tue compagne segrete da anni, ormai, ma quando sei entrato nello shop della disegnatrice e l’hai vista, una donna vera, hai messo la macchina fotografica sugli occhi per non farti vedere, perché lei ti ha turbato fin dal primo sguardo, sai il mio sogno è illustrare un libro per bambini, cioè so che può sembrare strano, e alza le mani come per dire guarda i piercing e i tatuaggi, però disegno gli spiriti del bosco, io li sento, io con loro ci parlo e mi raccontano delle storie bellissime, quindi magari, scusa devo rispondere, continui a guardarla attraverso l’obiettivo, hai messo il bianco e nero perché la luce lì dentro è formidabile, e il bordo superiore della barriera di plexiglass che vi separa non sai perché ma esalta ancora di più i contrasti, come una linea di luce rarefatta, ad esempio lei ha dipinto tutte le assi di legno di bianco e queste contrastano con il suo vestitino aderente in ecopelle nera, zoomi su di lei, lei scrive qualcosa su un taccuino di Tiger con un fenicottero dal lungo becco iridescente in copertina, per scrivere non si è appoggiata sul bancone perché è zeppo di disegni, certo amore che vengo a trovarti oggi, lei sorride, e continua a scrivere, come hai detto che si chiama il tuo amichetto, quel giorno non piove e la luce della baia si porta dietro la schiuma dell’oceano e rumore di coltelli e di gabbiani, i coltelli servono per affettare il pesce al mercato del pesce e infilare ciascun pezzo in un sacchetto di plastica sigillato e numerato con il pennarello indelebile, d’accordo tesoro, vuoi che mi metta qualcosa di particolare per la festa, scatti una foto alle sue labbra quando dice qualcosa, ormai sei in costante close-up sul suo viso, fotografi tutto ciò che lo compone, non credi sia possibile trasformarla in una bambola speciale, però sarebbe stupendo, quale festa le chiedi quando riattacca, ma subito ti penti di aver fatto quella domanda, lei strappa il foglio dal blocknotes e lo attacca alla lavagna di sughero su cui si era appoggiata per scrivere, scoprendo il tatuaggio di un lato B, si è proprio tatuata LATO B appena sotto la natica sinistra, e adesso ti sta guardando dritto attraverso l’obiettivo, sorride di nuovo, quando sorride non sai cosa fare, scatti un’altra foto, è una festa, che genere di festa, non sai perché stai facendo quelle domande, ti senti un idiota, prova a cambiare argomento, bel negozio davvero, semplice ma, è la festa di un cliente molto esigente e vuole che faccia dei disegni, un sacco di disegni per lui e per il suo amichetto, dovrò lavorare tutto il pomeriggio, lei continua a sorridere, le piace la prospettiva di dover lavorare tutto il pomeriggio, devo capire se mi bastano i materiali e i colori, sarà una vera ammucchiata, si tira su i capelli per raccoglierli con un elastico, una croce le pende in mezzo ai seni, sul seno destro c’è un piccolo neo, tu le scatti un’altra fotografia, magari potresti darmi una mano sei non hai impegni, come hai detto che ti chiami, tu abbassi la macchina fotografica, a colori è, gesucristo, si muove come, il caffè, dimenticavo il caffè, l’ho messo su poco fa, lo versa in un bicchierino e te lo porge, ma il caffè è ustionante, lo lasci d’istinto e si versa tutto sulla maglietta bianca, oddio scusami, oddio oddio, non è niente, tranquilla, la macchina è a posto, te la prende, sì mi sembra a posto, prende la tua macchina fotografica, il tuo lavoro, la tua vita e la mette su una pila di disegni e pastelli a cera, attenta è, ehi ci metto solo un secondo, dammi la maglietta, cosa, dammi la maglietta, non abbiamo molto tempo, vieni da questa parte, c’è tutto da questa parte, qui praticamente ci vivo, ho un angolo cottura, ho comprato un piccolo frigorifero vintage che è una meraviglia, suono la batteria, ti ho già detto che mi piace il dark metal, senti io, fidati, un po’ di candeggina e va via in un baleno, e così le dai la tua t-shirt preferita con la virgola nera della Nike, anche se in realtà è lei che te la leva, e quel giorno non eri pingue come sei adesso, ti eri fatto una doccia in onore di questo nuovo incarico da reporter, ed eri appena andato a uno dei tuoi appuntamenti trimestrali dal barbiere, ma ti vergogni come in un sogno in cui sei su un treno e scopri di essere nudo e non hai nemmeno un foglio di giornale per coprirti perché un finestrino è bloccato a metà e i giornali si accartocciano tutti rimbalzando sui sedili per via del vento e poi arrivi in fondo al vagone e scopri che su quel treno ci sei sempre stato solo tu, gli occhiali ti si sono appannati per via della mascherina, lei non ce l’aveva perché era dietro una protezione di plexiglass, ma adesso non più, anche tu sei dalla sua parte, attento alle scale, è l’unica via, ti dice, e in effetti c’erano delle piccole scale che conducevano dall’altra parte, dove lei era già china a strofinare la tua maglietta in un secchio rosso, ti avvicini e la guardi lavorare ai tuoi piedi, che festa è, come, si può sapere chi sono questi amichetti, lei è concentrata sulla maglietta o forse vuole tenerti sulle spine come una bambola speciale, quanto ti pagano per fare la toy girl a questa cazzo di festa, questo non lo dici ad alta voce, ma non ne sei sicuro, lei strizza la maglietta nel secchio, prende due pinzette da un cassetto, e l’appende a un filo teso in mezzo alla stanza del frigorifero, dove ci sono un sacco di fogli bianchi, c’è anche una batteria elettrica con le cuffie, un microonde, un materasso per terra, e sul muro un poster di King Diamond con i due cavalli blu che trainano la carrozza degli uomini morti, il filo è teso da un’estremità della batteria a un gancio a cui è appeso un reggiseno di pizzo, blu come i cavalli, noti guardando di nuovo il poster, ti piace, e ti abbassa la mascherina afferrandoti delicatamente la base del collo con le mani ancora bagnate, tu la guardi con rabbia, chi si crede di essere questa, ti piace il poster, ti chiede, tu continui a guardarla con rabbia, cerchi di odiarla, cerchi di, ma lei sorride, e ti bacia piano sulle labbra, e ancora sulle labbra, prova a farle cedere con il calore del suo fiato che sa di fragole di bosco spruzzate di candeggina, aspetta, provi a dire, aspetta, quindi la allontani dolcemente da te, mettiamo su un disco, lei ti guarda, quale, scegli tu, Abigail, non pensavo che anche tu, e vorresti sorridere ma è più una smorfia scattosa, prende due birre dal frigo sfasciato e le stappa con uno strambo souvenir, è una calamita del Moulin Rouge, tu fai un’altra smorfia scattosa, Parigi, la città degli innamorati, una che ha in programma un’orgia di gruppo stasera ti parla di Parigi, ti offre da bere e ti fa sedere accanto a lei su un materasso, sai che ti stai mettendo nei guai, ma provi quasi un certo gusto al pensiero di farti del male, lei ha messo su il disco di King Diamond, che in realtà era già dentro il lettore, ti prende una mano e dice, senti la festa di stasera, no, cosa no, non voglio sapere niente, ascolta, lei ride, tu la odi, ascolta sono dei bambini, io sono un’educatrice e lavoro con i bambini di una comunità, preparo per loro dei costumi, organizzo giochi e feste, tu davvero pensavi che, scusa, e le tocchi la caviglia con il dorso della mano, non le credi, ma non riesci a staccarti dal suo primo piano, continui a scattare foto nella tua mente, e sai che è un errore, sai che quelle foto saranno l’album preferito dei tuoi incubi, sai che i cavalli blu del poster metallaro sfoglieranno con te quell’album tutte le volte che lei non ci sarà più, senti perché non ti togli i pantaloni e le scarpe, togliti tutto così posso lavorare mentre parliamo un po’ e ci conosciamo, in che senso, be’ devo fare dei disegni e la tua schiena è proprio qui, vuoi disegnare sul mio lato B, le chiedi, questa volte ride, ride come una bambina ride di un bambino un po’ lento di comprendonio, hai visto il tatuaggio, perché vuoi il mio lato B, ci sono un sacco di fogli bianchi, perché se disegno su di te gli spiriti sono nostri, solo nostri, capisci, insieme li restituiamo al bosco, prendo un asciugamano però, sei tutto sudato, e poi, e poi quando ho finito faccio una foto al tuo lato B e sei libero di andare, mi metto a tagliare e cucire le stoffe per i costumi della festa, mentre dice queste cose ha già preso un asciugamano e delle penne Bic di diverso colore, ti viene da chiederle se l’ha già fatto altre volte, ma pensi che ormai non ha più importanza sapere o non sapere, vorresti poterle offrire tutto il tuo corpo, non solo il lato B, per disegnarci sopra tutti i giorni tutti gli spiriti che vuole, ma il tuo corpo a un certo punto avrebbe una fine, i tratti di penna finirebbero per consumare la pelle riducendola a brandelli, Abigail avrebbe bisogno di un nuovo lato B e tu non saresti in grado di darglielo, vorresti essere una bambola speciale e osservarla mentre lavora su di te, mentre ti massacra la pelle con le Bic colorate, girato prono come lei sembrava intendere, cerchi il suo odore con il naso nel materasso sperando non si noti, lei ti deterge il sudore con delicatezza, dalla nuca alla pianta dei piedi, quindi senti il primo tocco di Bic, è gelido, non riesci a trattenere un piccolo sussulto, capisci che Abigail sta sorridendo, Abigail è cavalcioni sopra di te, forse un giorno troverai il coraggio di proporglielo, tu la sua bambola speciale, che idea.

L’Inesistente
Credits: Boris Groh, The sky on the roofs, 2018